L'allontanamento del detenuto dagli arresti domiciliari costituisce evasione, essendo irrilevanti i motivi che hanno determinato la sua condotta, se non compiutamente provati. Così ha stabilito la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 27193 del 23 giugno 2014, rigettando il ricorso di un uomo imputato del reato di cui all'art. 385 c.p. per essersi arbitrariamente allontanato dalla sua abitazione, dove si trovava sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari. Pur riconoscendo che l'uomo si era allontanato da casa, lasciando la porta con la chiave nella serratura, per potersi recare in farmacia ad acquistare un medicinale, rientrando immediatamente dopo l'acquisto, la Cassazione ha confermato la statuizione della Corte d'Appello che aveva correttamente escluso la giustificazione putativa dello "stato di necessità".
Difatti, richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia, ha osservato la S.C., costituisce ius receptum "il principio secondo il quale l'evasione consistente nell'allontanamento del detenuto agli arresti domiciliari dal luogo in cui è autorizzato a svolgere attività lavorativa richiede il dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza di allontanarsi in assenza della necessaria autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente".
Né può avere rilevanza, sulla base di tale regola iuris, il fatto che, nel caso di specie, l'imputato
si fosse allontanato da casa per acquistare un farmaco in quanto "stava male", poiché, per i giudici, l'uomo non ha neanche provato una soluzione alternativa, come quella di rivolgersi ad un vicino di casa per aiutarlo a risolvere il problema. In tema di cause di giustificazione, infatti, ha aggiunto la S.C. "incombe sull'imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell'esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p., risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell'esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo".