Con la sentenza n. 184 del 25 giugno scorso, la Consulta è tornata a pronunciarsi sull'art. 517 c.p.p. inerente il "reato concorrente e le circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento".
La Corte era già intervenuta nel 1994 (con sentenza n. 265), dichiarando costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., gli artt. 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non consentivano "all'imputato
di richiedere il patteggiamento relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale". Con la stessa sentenza, la Consulta aveva, invece, dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa al giudizio abbreviato, reputando che la scelta tra le diverse alternative ipotizzabili per rimediare al vulnus costituzionale, comunque riscontrato, spettasse al legislatore.Successivamente, a seguito della modifica della struttura del giudizio abbreviato (per effetto della l. n. 479/1999), la Corte, con sentenze n. 333/2009 e n. 237/2012, è tornata a pronunciarsi sull'incostituzionalità degli artt. 516 e 517 c.p.p. per eliminare la differenza di regime "in punto di recupero della facoltà di accesso ai riti alternativi di fronte ad una contestazione suppletiva tardiva, a seconda che si discuta di patteggiamento o di giudizio abbreviato".
Chiamata nuovamente a pronunciarsi dal Tribunale ordinario di Roma sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p., nella parte in cui non consente il patteggiamento, nel caso in cui il pubblico ministero abbia proceduto alla contestazione di una circostanza aggravante, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost., la Corte ha affermato che il "patteggiamento è una forma di definizione pattizia del contenuto della sentenza che non richiede particolari procedure e che pertanto, proprio per tali sue caratteristiche, si presta ad essere adottata in qualsiasi fase del procedimento, compreso il dibattimento". Rinvenendo una violazione dei principi costituzionali, essendo "l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero alla chiusura delle indagini stesse", la Consulta ha quindi dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p. "nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 c.p.p., in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale".