di Angelo Casella
Un individuo immerso in un gruppo, è sottoposto ad un fenomeno dispersivo, determinato dalla molteplice presenza altrui, un evento ben conosciuto e che potremmo definire come la "legge della diluizione nel contesto plurimo".
Questo scoloramento dell'individualità assume diversi aspetti. La molteplicità, genera incertezza, la diversità, provoca disorientamento, l'(eventuale) assenza di valori condivisi, suscita insicurezza.
L'interrelazione induce interdipendenza e questa spinge al conformismo, anche per un bisogno - sempre presente nell'individuo - di accettazione.
La responsabilità individuale si stempera in una condivisa (Freud).
Tutto ciò è ben noto ed ampiamente studiato dalla letteratura scientifica.
Meno studiato è invece un fenomeno connesso, ma di estrema rilevanza nei processi evolutivi delle aggregazioni di persone.
All'interno di un corpo sociale, in dipendenza delle dinamiche cui abbiamo fatto breve cenno, si determina una fortissima sensibilità alla presenza di un Capo.
In dipendenza dei fenomeni rilevati, instaurare un Capo diventa estremamente semplice se qualcuno assume la veste di "colui che risolve i problemi" (e le ineluttabili difficoltà presenti in ogni società umana) e riesce a"restituire", rafforzata dalla molteplicità, l'identità individuale scolorita.
La presenza di un Capo automaticamente conferisce al gruppo una monoliticità, il cui valore è legato al peso dell'autorità utilizzata. E bisogna tenere presente che è più facile e meno impegnativo vivere in una società formata da elementi convergenti sul piano culturale e dei valori (piuttosto che in quella che propone diversità, differenze e distinzioni).
Ma porre in essere una struttura di potere (cioè creare un contesto sociale autoritario) crea una situazione che allarga enormemente le possibilità che ha il Capo di influenzare il gruppo.
Se il Capo (per consenso o abuso) può esprimere un forte autoritarismo, poiché l'autorità - per meccanismo inconscio - induce sicurezza, egli genera fiducia nelle sue capacità di risolvere i problemi, stimola il coinvolgimento (l' entusiasmo delle masse), incita e suscita fede, cioè affidamento irrazionale.
Il "vero" Capo per la folla, si presenta sicuro di sé (e chi vorrebbe un Capo incerto e tentennante?), risolutore, deciso, interventista, perentorio e reciso.
Soprattutto oggi, la gente vive la diffusa sensazione di essere trascinata e coinvolta in fenomeni giganteschi che, pur potendo travolgerla, sfuggono alla sua possibilità di intervento e, a volte, anche di comprensione. Ciò la rende ancor più vulnerabile alla seduzione di colui che si presenta come lo strumento per venire a capo di tutte le difficoltà, per risolvere tutte le incertezza di un futuro sempre più problematico.
Ecco allora l'attrazione per l'uomo forte, per colui che pone delle regole rigide (perché "sa" come risolvere), che impone disciplina, ruoli, punizioni e premi, ordina e dispone. Eccolo, che si presenta come l' "unto del Signore", l'uomo della Provvidenza: l'attrazione che esercita diventa irresistibile. Per la folla si materializza come "colui che sa", il risolutore, colui che da un senso al tutto e conferisce un'identità collettiva ai singoli.
Tutti sono pronti a seguirlo, come i topi il pifferaio della favola.
Per colorare i concetti con un esempio, ricorderemo l'esperimento condotto nel 1967 da Ron Jones, insegnante alla High Scool di Palo Alto , Ca., (ed oggi riportato alla ribalta con il film "L'Onda" di Dennis Gansel).
Come una sorta di recitazione collettiva, e per mostrare agli alunni come poté prendere piede il nazismo, militarizzò la classe ed instaurò, con un ricco corredo simbolico (atto a rafforzare l'identità collettiva: stemmi, inno, saluto, motto, bandiere) una disciplina rigida e un severo complesso di regole.
In pochi giorni, tutto ciò fu sufficiente per trasformarlo - agli occhi degli alunni e contro le sue stesse attese - nel loro Grande Leader, rivestito di un fascino così irresistibile da evolvere rapidamente in fanatismo, paranoia e violenza.
Gli alunni di quella classe si "sentivano" migliori di tutti gli altri (esattamente come i giovani hitleriani). Alla ben radicata noia ed allo scetticismo indolente diffuso tra i loro compagni di scuola (ed anche loro proprio prima dell'esperimento) era infatti subentrata un'esaltazione infervorata, assai qualificante (attribuendo la sensazione di avere alti valori esclusivi).
L'insegnante, trasformato in Capo carismatico, sarebbe stato allora in grado di chiedere alla classe di compiere qualunque azione.
L'agevole possibilità che un opportuno contesto autoritario determini comportamenti deviati trova un'altra interessante conferma sperimentale nel 1971 con Philip Zimbardo, della Stanford University. Costui, coinvolgendo una ventina di studenti, creò una finta prigione, attribuendo ai ragazzi i ruoli di carcerieri e di carcerati. Bastarono pochi giorni perché i "carcerieri" si trasformassero in aguzzini sadici e violenti.
Sono d'altronde ben noti i casi (dal Vietnam all'Iraq, a Gaza, per i più recenti) di efferati massacri compiuti su civili inermi da reparti militari in preda ad inarrestabile follia assassina collettiva.
Tutto ciò dimostra che, allorquando si instaura un regime improntato all'autoritarismo, occorre urgentemente intervenire prima che metta le radici nel gruppo sociale l'irrazionale fede nella presenza salvifica del Capo risolutore e che i guasti diventino irreversibili.
Attenzione: la diffusione è rapida e poi difficile da estirpare perché si deposita nell'animo delle persone come un mito fideistico.
Occorre perciò che le forze democratiche operino subito per evidenziare alla gente - prima che la degenerazione diventi endemica - che l'icona è taroccata e che i problemi della società, con le sue cure, non verranno risolti ma anzi aggravati e che gli strumenti adottati disgregano il corpo sociale e non salvano la nazione, ma la affossano.
La democrazia, che si basa sul confronto e non sull'adesione, trova il suo fondamento irrinunciabile nella rigida esclusione di poteri non controllati, non limitati da funzioni predeterminate, non circoscritti da confini precisi e resi coattivi da altri poteri.
(estratto da: "Il Capitale e l'Uomo")