Di Laura Tirloni - Giudicare, in linea generale, significa esprimere un'affermazione rispetto ad un convincimento personale e ad una presa di posizione basata su determinati fatti. Il processo di formazione di un giudizio è un procedimento complesso, che richiede tempo e anche un investimento emotivo non indifferente.
Esso si basa inizialmente sulle prime impressioni riguardanti una situazione specifica e prosegue con la raccolta e l'elaborazione delle informazioni, tramite strumenti e modalità differenti, fino alla formulazione del giudizio finale.
Lungo tale percorso, sono diverse le variabili che possono influenzare l'esito finale della decisione. Ci sono componenti individuali (come quelle legate alla personalità di chi giudica, ad eventuali pregiudizi, allo stato d'animo e al bagaglio personale di esperienze).
Ci sono poi componenti legate alla situazione concreta oggetto del decidere (qualità e quantità delle informazioni), che possono avere un ruolo determinante sull'esito finale del giudizio.
Il giudizio che deve esprimere un magistrato, non può essere però assimilato alla semplice espressione di un parere individuale. Da una sentenza può infatti dipendere il destino di una persona. Ed è per questo che in primo luogo il giudice deve limitarsi ad applicare al caso concreto le norme di legge, che riflettono una scelta della collettività, talvolta anche diversa dal suo personale convincimento. Quest'ultimo inoltre, assume rilievo sotto due profili: quello dell'interpretazione delle norme (Qualora il dettato normativo necessiti di un intervento interpretativo: si veda 'La legge si applica e non si interpreta'); e quello della valutazione delle prove acquisite durante il procedimento. È in questi due ambiti che assume rilievo il suo libero convincimento.
Il percorso decisionale porterà il giudice ad affrontare diversi ostacoli, sia pratici che psicologici: difficoltà legate al sovraccarico di lavoro nonché alla carenza di informazioni (egli può basarsi solo sulle prove assunte durante l'istruttoria). Tutti problemi che accentuano la possibilità di creare un divario tra la "verità reale" e la "verità processuale".
Il giudice non è inoltre esente da errori e la sua decisione può essere influenzata da diverse variabili. Non è raro che possa sovrastimare la rilevanza di una prova o che, al contrario, possa sottostimarne l'importanza. Il giudice dovrà anche valutare l'attendibilità e la credibilità delle testimonianze, posto che nessuno può garantire che il teste dica la verità.
Altre componenti possono influenzare il percorso di formazione del convincimento del magistrato. Tra queste, le modalità messe in atto per raccogliere le informazioni durante l'istruttoria.
Sotto questo profilo assumono rilevanza le domande che gli avvocati o il giudice formulano ai testimoni. Anche il modo in cui la domanda viene posta è in grado di influenzare la risposta.
In ambito giudiziario si tende a formulare domande in positivo piuttosto che in negativo.
Questo genere di domande tendono a chiedere conferma di fatti, eventi o circostanze partendo da una tesi (ad esempio si chiede "è vero che....?").
Insomma giudicare non è compito semplice ed errare, come si suol dire, è umano. Il giudice non fa certo eccezione. Tuttavia, data l'estrema delicatezza del suo ruolo, sarebbe necessario metterlo nella giusta condizione di poter svolgere la propria funzione decisionale nel migliore dei modi. E di certo l'eccessivo carico di lavoro che attualmente grava sulla magistratura italiana non agevola il compito.