di Paolo M. Storani - (parte prima) La novità di certo più significativa della recente riforma delle impugnazioni è rappresentata dalla formulazione degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. (applicabili anche nel rito del lavoro in virtù dell'art. 436 bis c.p.c., mentre le nuove regole non si applicano al processo tributario).
Ci stiamo occupando dell'introduzione del cosiddetto filtro in appello.
Tale misura si prefigge di contenere i tempi della giustizia civile (il pensiero vola subito alla Legge Pinto sull'eccessiva durata del processo, la cui equa riparazione le Sezioni Unite hanno di recente riconosciuto estendibile al contumace), nonché di garantire maggiore efficienza al sistema delle impugnazioni.
Questi scopi dichiarati dal legislatore costituiranno un'utile bussola nel momento ermeneutico di norme farraginose e malamente formulate.
L'art. 348 bis c.p.c. è stato inserito dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, c.d. Decreto Sviluppo recante misure urgenti per la crescita del Paese, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134 e si applica ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso.
Parrà uno scherzo del destino, ma emblematicamente il giorno di avvio dell'applicazione della riforma è l'11 settembre seppur del 2012.
Troppo facile l'ironia con riferimento all'abbattimento delle Torri Gemelle a fronte di una riforma di ardua interpretazione; tant'è che anche in seno alla Suprema Corte di Cassazione si è aperta una lacerazione che non potrà durare a lungo.
Questo il testo dell'art. 348 bis c.p.c.: PRIMO COMMA "Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.
SECONDO COMMA "Il primo comma non si applica quando:
a) l'appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all'articolo 70, primo comma;
b) l'appello è proposto a norma dell'articolo 702 quater".
Pertanto, ricaviamo dal dato testuale di questo capoverso che l'enunciazione riformatrice non si applica per quelle cause ove sia obbligatoria la presenza del pubblico ministero e nel grado di appello avverso l'ordinanza decisoria conclusiva del rito sommario di cognizione.
Nel caso in cui venga pronunciata l'inammissibilità, avverso il provvedimento di primo grado potrà essere proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c. con termine che inizia a decorrere dalla comunicazione ovvero dalla notificazione, nel caso sia anteriore, dell'ordinanza che dichiara tale inammissibilità.
Ai sensi del capoverso dell'art. 325 c.p.c. il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni sessanta.
Infatti, a mente del successivo art. 348 ter, co. 3°, c.p.c., inserito egualmente dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 134, "quando è pronunciata l'inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'articolo 360 c.p.c., ricorso per cassazione ...si applica l'articolo 327, in quanto compatibile".
Proviamo ad orientarci consultando - ma esercitando nel contempo un vaglio critico (quanto mai opportuno a fronte di affermazioni non sempre condivisibili) pur al cospetto dell'autorità del S.C. - Cass., Sez. VI - Sottosezione 3^, 9 giugno 2014, n. 12928, Pres. Mario Finocchiaro, Est. Franco De Stefano (altri componenti del Collegio Adelaide Amendola, Annamaria Ambrosio e Raffaele Frasca: vedremo che quest'ultimo era già stato estensore di una poderosa pronuncia sotto forma di ordinanza dell'aprile 2014, la n. 8941/2014).
Gli istanti ricorrono (contestualmente: analizzeremo in prosieguo quando è consentito agire in tal modo, vale a dire impugnare con lo stesso ricorso due provvedimenti diversi) per la cassazione tanto dell'ordinanza con cui la Corte d'Appello di Messina, ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c., ha dichiarato inammissibile il loro appello avverso la sentenza del Tribunale peloritano, quanto di quest'ultima, con cui è stata rigettata la domanda proposta in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul figlio minorenne, volta a conseguire la condanna del Comune dei due mari, Ionio e Tirreno, al risarcimento dei danni per il sinistro stradale causato a quest'ultimo da una caduta dal motoveicolo sulla sede stradale in un punto in cui dalla pavimentazione spuntava un tombino non segnalato della rete fognaria.
Esaminiamo il primo motivo dei quattro in cui è strutturato il ricorso predisposto dall'Avv. Guido Fiorentino (ogni tanto va concesso l'onore della cronaca anche ai difensori!), presente anche all'udienza (tenutasi il 15 aprile 2014); tale motivo di impugnazione viene così descritto nel corpo della decisione: "a) con un primo motivo, proposto avverso l'ordinanza della Corte di Appello, di 'violazione e falsa applicazione dell'art. 101 c.p.c. e art. 348 ter c.p.c., comma 1, con riferimento all'art 111 Cost, comma 7, nonché all'art. 360 c.p.c., u.c.': lamentando, al riguardo ed una volta esposta la tesi dell'autonoma impugnabilità dell'ordinanza in parola per vizi processuali suoi propri, la mancata previa instaurazione del contraddittorio circa la possibilità di definire il giudizio in appello in applicazione della novella del 2012".
Risponde il S.C. che il motivo è inammissibile.
Infatti, "è noto, al riguardo, che, con i nuovi artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. (di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. a), conv. con modifiche in L. 7 agosto 2012, n. 134, in S.O. n. 171 alla G.U. 11 agosto 2012), il giudice dell'appello, che riconosca non avere l'impugnazione una ragionevole probabilità di essere accolta, la dichiara inammissibile con ordinanza. La pronuncia di tale ordinanza comporta che, entro l'ordinario termine di sessanta giorni dalla comunicazione o - se anteriore - dalla notificazione di essa (o, comunque, entro il termine previsto dall'art. 327 c.p.c., e quindi entro un anno - maggiorato della sospensione feriale, se applicabile - dal suo deposito, se trattasi di giudizio intrapreso in primo grado prima del 4.7.09, o, per quelli intrapresi dopo, entro sei mesi dal deposito, maggiorati della sospensione feriale se applicabile), sia proponibile ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado; ove poi la pronuncia di inammissibilità sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per i motivi di cui all'art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4).
5. (n.d.r. = dei motivi della decisione) E tuttavia l'ordinanza di inammissibilità in parola non è mai autonomamente impugnabile.
Invero, affinché sia coerente con le finalità della novella, la valutazione, per quanto necessariamente completa se non altro con riferimento alle questioni più liquide, deve essere davvero sommaria e risolversi in una schematica conferma della validità delle ricostruzioni in fatto e delle decisioni in diritto operati (n.d.r. Avv. Storani = operate) dal primo giudice. In ogni caso, essa non è mai definitiva, visto che è sempre possibile impugnare ulteriormente il provvedimento di primo grado, sia pure coi termini e nelle forme previste dal nuovo art. 348 ter c.p.c.: non essendo garantito dalla Carta fondamentale il doppio grado di giurisdizione nel merito e potendo allora il legislatore modularne l'estrinsecazione in ragione anche dei principi di economia processuali e di contenimento dei tempi dei processi entro termini ragionevoli.
Proprio tale spiccata sommarietà - e comunque la vista carenza di definitività (n.d.r. Avv. Storani = asserzione a nostro sommesso avviso erronea, come spiegheremo nel corso della seconda parte di questo viaggio nel filtro in appello: per il momento si pone in risalto che non esiste nel nostro ordinamento un solo provvedimento sommario che non consenta poi a valle l'impugnazione, la possibilità di un rimedio; l'archetipo dei provvedimenti sommari, il decreto ingiuntivo, i cautelari, l'art. 700 c.p.c.; qui non ho rimedio, non è, quindi, concepibile la sommarietà; la Corte di Appello o il Tribunale di secondo grado procede optimo jure e non a naso con provvedimento sommario; sommarie sono le forme, non i contenuti, che non sono per niente sommari!)- della valutazione di non accoglibilità dell'appello impedisce che se ne possa operare, nel successivo grado di legittimità, alcuna riconsiderazione:
- se riferita all'intensità od entità della probabilità di accoglimento, perché allora una tale rivalutazione implicherebbe ictu oculi un mero apprezzamento di fatto, sostituendo una valutazione di probabilità ad altra;
- se riferita alla completezza dell'esposizione delle ragioni su cui la non ragionevole accoglibilità è stata predicata, perché una motivazione concisa è per definizione non del tutto esauriente;
- se riferita al merito della fondatezza dell'appello, perché si risolverebbe nella necessità di riconsiderare i relativi motivi, ma appunto mediante la proposizione delle contestazioni del loro rigetto ad un giudice sovraordinato rispetto a quello che pur sempre li ha disattesi".
In conclusione, il S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso, ha compensato le spese del giudizio di legittimità ed ha dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell'ulteriore importo a titolo di un altro contributo unificato.
Ma non dobbiamo arrestarci a Cass., Sez. VI - Sottosezione 3^, 9 giugno 2014, n. 12928, Pres. Mario Finocchiaro, Est. Franco De Stefano che abbiamo appena riportato.
Infatti, sta bene che l'art. 348 ter c.p.c. non contempla espressamente la ricorribilità per cassazione dell'ordinanza filtro, ma possiamo fare comunque riferimento all'art. 111 Cost., come pure evidenzia a pag. 47 "Il ricorso per cassazione" a cura di Luigi Levita, Giudice del Tribunale di Nocera Inferiore, edito da Nuova Giuridica nel febbraio 2014; tale parte è stata redatta dalla Collega Silvia Taffari del Foro di Palermo.
Ed, infatti, ecco a Voi l'analitica esposizione di Cass. Civile, Sez. VI - Sottosezione 2^, ord. 27 marzo 2014, n. 7273, Pres. Stefano Petitti, Est. Alberto Giusti.
Come possiamo rimuovere dal mondo giuridico l'ordinanza ex art. 348 bis c.p.c.?
Può essere accaduto che il giudice abbia sbagliato perché l'appello riguardava una querela di falso e non è stato provocato l'intervento del PM o la pronuncia era sbagliata perché non ha condannato il soccombente alle spese ovvero mi ha rigettato l'appello, ma mi ha condannato ad uno sproposito di spese.
La legge sul punto è alquanto sibillina.
La parte appellante può ricorrere per cassazione avverso la sentenza di primo grado.
Sì, ma - vivaddio - io mi dolgo dell'ordinanza di secondo grado!
Il testo originario della riforma - aggiunta poi soppressa - della norma sull'appello filtrato parlava anche "nei limiti dei motivi specifici esposti con l'atto di appello".
Falso problema le interpretazioni sorte all'esito di tale frase incidentale ch'era una superfetazione inutile.
O il vizio era stato proposto in appello o, se non lo era, si sarà formato il giudicato su quelle statuizioni esplicite o implicite.
Il principio della domanda trova una rigorosa applicazione in quanto la cognizione del giudice sarà limitata alle censure proposte e per l'effetto dovranno essere espressamente riproposte in appello le domande e le eccezioni non accolte o non esaminate, con conseguente esclusione dalla disamina di quelle domande o eccezioni non riproposte.
Avverso quel capo (avevo ragioni da vendere) non potrò più dolermi.
Ma posso ricorrere in cassazione contro la sentenza di primo grado se l'ordinanza che scrutina l'inammissibilità sia stata emessa in terza udienza?
Sono i vizi propri dell'ordinanza.
Tutta una serie di vizi.
L'ordinanza è stata pronunciata ma non poteva esserlo.
A titolo esemplificativo, perché l'appellante era carente di procura (sei un ente e non mi hai allegato la delibera della Giunta Comunale: ci vorrà la sentenza!), senza aver sentito le parti, oppure non per dichiarare l'infondatezza, ma l'inammissibilità dell'appello.
Oppure compensa le spese, liquida spese eccessive a carico dell'appellante o spese infinitesime a vantaggio dell'appellato.
L'ordinanza filtro ha dei chiari paletti e si può pronunciare solo per questioni attinenti al merito.
Se l'appello era inammissibile andava dichiarato con sentenza, non con l'ordinanza filtro.
I casi classici di inammissibilità perché l'appello è tardivo, difetta di procura o aggredisce un provvedimento inappellabile non potranno essere decisi con ordinanza, ma soltanto con SENTENZA.
E', quindi, surreale che io impugni per cassazione un vizio che non sta nella sentenza di primo grado, come mi consente di fare la lettera della riforma.
Già una parte della dottrina aveva operato una distinzione: ci sono vizi (l'appello era fondato, infondato o non aveva ragioni di accoglimento) che i francesi chiamano "di fondo" ed è pacifico che non si possono ricorrere per cassazione quando contenuti nell'ordinanza del giudice di secondo grado.
Con l'ordinanza 7273/2014 la Cassazione si era espressa per la ricorribilità per cassazione dell'ordinanza ex art. 348 ter c.p.c.
La Corte di Cassazione dice al ricorrente: il c.p.c. prevede la ricorribilità per cassazione?
No, allora dobbiamo rintracciare un'altra norma ch'è proprio l'art. 111 Cost.
Ma il 348 ter c.p.c. è definitivo?
Perché l'art. 111 è spendibile soltanto avverso i provvedimenti definitivi.
Si tratta di uno dei requisiti di accesso al ricorso straordinario.
L'ordinanza filtro incide sul diritto processuale all'impugnazione perché viene emessa in un giudizio, quello di appello, che verte, al pari di quello di primo grado, su situazioni di diritto soggettivo o delle quali è comunque prevista la piena giustiziabilitá: Cass, Sez. Unite, 3 marzo 2003, n. 3073; Sez. Unite, 15 luglio 2003, n. 11026.
Del resto, la statuizione sta dentro l'ordinanza filtro!
Nel ricorso talvolta dovrei scrivere - in modo surreale - che nella sentenza di primo grado c'è di sbagliato quanto contenuto nell'ordinanza pronunciata in appello!
Infatti, Cass. 7273/2014 al punto 2.4.1. espressamente chiarisce: "non essendo l'eventuale errore compiuto dalla stessa nel riscontrare la sussistenza della ragione pregiudiziale di inammissibilità in rito DEDUCIBILE come motivo di impugnazione del provvedimento di primo grado, MANCA la possibilità di rimettere in discussione la tutela che compete alla situazione giuridica dedotta nel processo impugnando in cassazione la pronuncia di primo grado".
L'unica chance è quella di impugnare il provvedimento che pone termine al procedimento di appello, ossia l'ordinanza di inammissibilità ex art. 348 ter c.p.c.
L'ordinanza 348 ter pronunciata al di fuori dei casi in cui poteva essere emessa è suscettibile di passare in giudicato, allora è un provvedimento definitivo, allora si può impugnare ex art. 111 Cost. a nulla rilevando quel che proibisce il c.p.c.
Tutti i commentatori che affrontarono questo problema nella fatidica estate del 2012 (decreto pubblicato in agosto), Chiarloni, Sassani, Trisorio Liuzzi, Verde, tutti giunsero a tale approdo: se mi dolgo di vizi propri dell'ordinanza, posso impugnare l'ordinanza in cassazione.
Se io mi dolgo del merito (il mio appello era fondato!), debbo ricorrere per cassazione avverso la sentenza di prime cure.
Ma Cass., Sez. VI, Sottosezione 3^, 17 aprile 2014, n. 8941, Pres. Mario Finocchiaro, Est. Raffaele Frasca (altri membri del S.C. Adelaide Amendola, Annamaria Ambrosio e Franco De Stefano: stessa compagine della pronuncia con cui ha esordito questo pezzullo) statuisce in senso diametralmente inverso!
Ecco l'insanabile contrasto cui si cennava sopra.
Il provvedimento di cui all'ordinanza filtro (l'impugnazione non aveva ragionevole probabilità di essere accolta) non è definitivo perché - opina la Corte di Cassazione - il processo non si ferma, continua!
Anche nell'ipotesi dell'erronea liquidazione delle spese (somma eccessiva a carico dell'appellante: magari la causa aveva un valore di mille euro), il provvedimento del 348 ter c.p.c. non è definitivo perché secondo il S.C. una statuizione del genere - se uno si volesse dolere - potrebbe essere azionata con l'opposizione all'esecuzione.
La statuizione sulle spese (lasciamo perdere la prassi quotidiana) con l'ordinanza filtro non è mai sommaria.
Tralasciamo il ragionamento della S.C. sulla natura di titolo esecutivo stragiudiziale a mo' di cambiale.
In teoria, il giudice ha reso un provvedimento sommario ma le spese non le liquida in modo sommario! Si guarda bene tutte le carte, il valore della causa, valuta la complessità della lite.
L'ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. non è sommaria e mai può essere sommaria la liquidazione delle spese.
Ve lo immaginate il giudice dell'esecuzione che si veda sulla scrivania un ricorso in opposizione con cui si rimoduli il provvedimento giurisdizionale della Corte di Appello con cui si liquida il quantum delle spese giudiziali: come mai il giudice dell'esecuzione potrebbe intervenire su un provvedimento giurisdizionale?!
La ratio della riforma è di semplificare; quella è la bussola.
Altrimenti, ragionando come Cass. 8941/2014 da un processo ne facciamo due!
O tre introducendo un ordinario giudizio di cognizione nell'ipotesi di liquidazione di un solo centesimo di spese.
Eterogenesi dei fini della norma introdotta per accorciare i tempi, ridurli all'osso: da un processo ne facciamo tre!
Come impostare gli atti: impugnare tutti e due i provvedimenti, sentenza di primo grado ed ordinanza filtro.
Ma come fare in concreto la doppia impugnazione?
Non commettete l'errore di impugnare l'ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. per ragioni di merito (avevo ragione).
Si impugna soltanto quando il vizio procedurale sia proprio dell'ordinanza pronunciata senza sentire le parti, oltre la prima udienza, in difetto di procura, con una composizione del collegio irregolare, in cui pronunci un giudice che non fa parte del collegio (la casistica è piena ed in cassazione di questioni del genere se ne riscontrano a grappoli).
Stategia per l'avvocato.
Proporre un solo ricorso non cumulativo, ma con una impugnazione principale avverso l'ordinanza 348 ter c.p.c. ed una subordinata avverso la sentenza di prime cure.
Se cade soltanto la sentenza di primo grado si finisce nella camicia di forza del giudizio di rinvio, non nel giudizio di appello vero e proprio.
La Corte di Appello ha pronunciato la inammissibilità; si accerta che non poteva farlo, torniamo in appello ma in appello facciamo un giudizio di regressione (pretermesso un litisconsorte necessario, ad esempio); altrimenti si farà il giudizio di rinvio che è cosa ben diversa anche se si svolge avanti alla Corte d'Appello come il giudizio di retrocessione. Le similitudini finiscono qui.
Il giudizio di rinvio è diversissimo dall'appello. Più penalizzante.
In prima battuta bisogna togliere di mezzo l'ordinanza filtro.
Altrimenti si fa il giudizio di rinvio.
Il giudice di rinvio è vincolato da principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione.
Non può applicare lo jus superveniens, non può essere introdotto nessun documento, nessuna nuova prova, mentre entro limitati e determinati casi nel giudizio retrocesso sì.
Se cade l'ordinanza, si rifarà il processo di appello.
Altrimenti si fa il giudizio di rinvio avanti alla Corte d'Appello.
Il ricorso contro due provvedimenti diversi si può fare.
La sentenza capostipite è la n. 10134/2007, che ha affermato il seguente principio: nulla vieta il doppio ma ricorrendo due condizioni: i provvedimenti giudiziali impugnati debbono essere stati pronunciati tra le stesse parti e nello stesso processo, anche se in fasi e gradi diversi.
Nella nostra ipotesi ricorrono entrambi i requisiti.
FINE DELLA PRIMA PARTE