Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto; email: barbara.pirelli@gmail.com
Preme rilevare che con la separazione i conflitti tra i coniugi non sempre vengono risolti, anzi, il più delle volte resta acredine e ruggine che si manifestano in una serie di denunce spesso prive di fondamento.
Il caso affrontato dal G.O.T. del Tribunale di Forlì, l'Avv. Sonia Serafini, (sentenza del 31 marzo 2014) racconta la vicenda di una moglie che, costituitasi parte civile, riferiva che il marito (imputato per il reato di cui all'art. 570 c. p.) dal quale era divorziata da tempo non versava più l'assegno di mantenimento in favore dei due figli minori collocati presso di lei.
Il giudice della separazione aveva stabilito in favore dei minori un assegno mensile di € 950, 00 (oltre a rivalutazione ISTAT), nonché il 50% delle spese straordinarie.
La donna raccontava che i rapporti con l'ex coniuge non erano mai stati distesi al punto che aveva inoltrato più denunce nei suoi confronti ( addirittura una denuncia al mese) perché l'ex marito si disinteressava del mantenimento dei figli; in particolare uno dei figli era stato colpito da una patologia genetica che necessitava di cure costose.
Raccontava, inoltre, che qualche anno prima aveva acquistato dal marito la sua porzione di casa, per un valore di € 100. 00, 00 e in questo acquisto così come per sostenere le altre spese aveva sempre avuto l'aiuto dei propri genitori.
Contestava all'ex di non aver pagato gli oneri condominiali dell'abitazione così come stabilito in un accordo; sottolineava però che l'uomo avrebbe corrisposto una parte del mutuo contratto con la cassa ingegneri e che, nonostante le pendenze, il marito riusciva comunque ad andare in vacanza.
Faceva rilevare che lei percepiva un semplice stipendio da insegnante di circa 1660, 00- 1700, 00 al mese mentre da una dichiarazione dei redditi( della quale non ricordava l'annualità )si evinceva che il fatturato del marito superava i 100. 00, 00 euro.
La donna riferiva che il marito aveva dei debiti nei suoi confronti ma non specifica le somme esatte limitandosi a dire che si trattava di diverse decine di migliaia di euro.
La donna comunque per recuperare le somme a lei dovute dal marito aveva effettuato un pignoramento presso terzi grazie al quale aveva ottenuto la somma di € 500, 00 mensili direttamente dall'ente che erogava la pensione all'ex marito.
La ex moglie cercava di evidenziare che l'ex marito non era in "cattive acque" così come voleva far credere e prova ne era il fatto che era andato a vivere in una casa colonica presa in affitto; l'aveva completamente ristrutturata e vi era rimasto fino al 2009, nonostante avesse a disposizione un appartamento a Forlì, donato alla figlia di primo letto.
Secondo le notizie riportate dalla ex moglie l'uomo aveva avuto collaborazioni sia con enti pubblici (che tardavano i pagamenti) che con molte aziende non pubbliche, dava lezioni private a studenti universitari ed era consulente in ambito elettronico anche presso uno studio.
La donna, inoltre, smanettando sul web era venuta a conoscenza che il suo ex era stato nominato come consulente nella brochure di un convegno di una importante società con la quale lo stesso collaborava già al tempo del loro matrimonio. Era a conoscenza, inoltre, che l'ex coniuge aveva chiuso la partita IVA ed era andato in pensione ma nonostante ciò continuava comunque a lavorare in nero.
Questa ovviamente e' la versione raccontata dalla moglie che a quanto pare non era a conoscenza della reale situazione finanziaria del marito.
L'uomo infatti aveva contratto una serie di debiti con Equitalia e con alcuni istituti di credito; veniva ascoltato come teste il commercialista dell'uomo il quale effettuava un excursus della situazione reddituale del proprio cliente per gli anni 2008, 2009 e 2010, attraverso un prospetto redatto insieme al contribuente, sulla base della documentazione consegnatagli (dichiarazione dei redditi, imposte, pignoramenti, costi ecc.. ).
Il commercialista dichiarava di aver fatto la media del reddito disponibile netto annuale per il 2008-2009 e lo stesso risultava negativo di oltre 17.000, 00 euro, mentre per gli anni 2010-2011, il saldo era positivo di circa 1.800, 00 euro. Precisava, inoltre, che l'imputato non era più suo cliente, poiché stilava il modello 730 come pensionato presso un CAAF; tra il giugno del 2008 ed il marzo 2011 non risultava intestatario di beni immobili e mai aveva avuto problemi con l'Agenzia delle Entrate per incongruità delle dichiarazioni.
L'imputato in sede di esame dichiarava che con il tempo la sua situazione finanziaria aveva subito un tracollo e che anche i conti correnti, che aveva acceso per gestire la propria attività di ingegnere, erano ormai "in rosso" ed i fidi completamente consumati. Proprio per questa ragione, temendo un pignoramento dell'immobile ed essendo la propria ex moglie datrice di ipoteca, per tutelare la stessa aveva proposto al legale di costei di mediare la cessione del suo 50%, ad un prezzo di 50.000, 00 euro inferiore al valore dell'immobile stesso.
Con i soldi che aveva ricavato dalla vendita della propria quota era riuscito a saldare qualche debito e a continuare la propria attività per altri due anni. Nel frattempo le uscite erano diventate maggiori delle entrate e per questa ragione aveva cercato in tutti i modi di trattare dilazioni di pagamento con l'Agenzia delle Entrate ma senza successo.
L'uomo sottolineava che non avendo il DURC regolare con la propria cassa di previdenza, non potendo sottoscrivere il contratto, era stato obbligato a cedere la direzione dei lavori, relativa ad un ospedale, all' ente con il quale aveva avuto un rapporto lavorativo ultraventennale.
Nonostante la perdita di tutti gli incarichi con gli enti pubblici, aveva comunque mantenuto ottimi contatti con i clienti e grazie a ciò era riuscito a seguire dall'esterno gli interventi per poter vedere conclusa l'opera da esso iniziata (un padiglione di 9 piani).
Le sue visite in loco erano spesate (per vitto e alloggio) da amici ed ex colleghi a conoscenza della situazione in cui versava ma non era mai stato stipendiato. Teneva a specificare, dunque, che pur avendo cessato definitivamente l'attività, manteneva ancora i rapporti consolidati nel corso degli anni con clienti che lo interpellavano anche solo per pareri che lui dava per motivi di mera serietà, senza percepire alcunché. Precisava che percepiva la pensione di soli 421, 00 € al mese e che non era assolutamente in grado di corrispondere la cifra prevista in sentenza a favore dei figli e non certamente per mancanza di volontà.
A dimostrazione della sua reale situazione economica ai limiti dell'indigenza dichiarava che viveva in un monolocale ad un canone bassissimo, grazie ad un ex compagno di università che glielo aveva fornito ammobiliato; persino il pignoramento dei beni mobili non era stato possibile perché non propri, già venduti, inoltre, non aveva più neppure l'automobile perché non era in grado di sostenerne i costi.
In merito al rapporto con i figli dichiarava che con il maschio erano molto buoni, condividendo molti interessi mentre con la figlia femmina la comunicazione era quasi assente, la stessa era scostante e non rispondeva ai suoi SMS.
Con riferimento alla possibilità di farsi le vacanze, così come riferito dalla ex moglie, l'uomo precisava che i viaggi effettuati all'estero riguardavano solo un viaggio servito per raggiungere la figlia di primo letto che viveva in un altro Stato e in occasione del suo matrimonio i consuoceri avevano deciso di pagargli l'intero viaggio e l'alloggio.
L'uomo screditava poi una affermazione fatta dalla ex la quale aveva riferito che l'uomo aveva regalato un appartamento alla figlia di primo letto. L'imputato precisava, invece, che la casa intestata alla prima figlia era stata acquistata con il denaro che l'assicurazione aveva loro corrisposto come risarcimento per la morte della sua prima moglie, avvenuta quando la figlia aveva 16 anni, a causa di un incidente stradale.
Aveva lasciato tutto alla ragazza, investito in titoli di stato in quanto minorenne, così come la quota ricavata dalla vendita della casa dei nonni materni al momento della loro morte.
Dopo che la figlia aveva raggiunto la maggiore età, con il denaro investito, aveva comprato un rudere ricavando un appartamento di 60 mq dove abitava con la figlia prima di risposarsi.
Con riferimento ad una vacanza effettuata nel 2010 ad Helsinki, così aveva raccontato la ex moglie, ribadiva di avere la fortuna di conoscere molte persone disponibili; nella circostanza in questione, riferiva che una sua amica, madre di un ragazzo che viveva in quel luogo e che voleva andare a trovare, avendo paura di volare, gli aveva chiesto di essere accompagnata. Non avrebbe dovuto preoccuparsi per le spese perché il volo ed il soggiorno era stato offerto dal ragazzo, grazie ai rapporti con l'ambasciata: in questa circostanza, le uniche spese che aveva affrontato erano stati i regali per i propri figli.
Sulla base di tutti questi elementi il giudice ha ritenuto che non vi fossero gli elementi integrativi della fattispecie criminosa contestata e di conseguenza non poteva essere riconosciuta la penale responsabilità dell'imputato.
Va rilevato che l'assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile va distinto dai mezzi di sussistenza; infatti, con l'art. 570 c. p. il legislatore ha inteso punire non la sola omissione nel corrispondere l'assegno, bensì la suddetta violazione, qualora la mancata contribuzione ponga i beneficiari in un situazione di bisogno.
Dall'istruttoria non è emersa alcuna situazione di bisogno.
Anche se la donna per un certo periodo ha dovuto far fronte a delle difficoltà economiche sostenendo anche interamente i costi dei figli non si è mai avuto un vero e proprio stato di bisogno. L'istruttoria, invero, non ha dimostrato la sussistenza di tale stato.
Per stessa ammissione della donna i figli erano dediti a diverse attività, anche non propriamente di primaria necessità, (quale, ad esempio, la frequentazione del conservatorio da parte della primogenita).
Non può passare sotto silenzio che le numerose azioni giudiziarie intraprese dalla donna contro il suo ex, oltre a dimostrare un rapporto deteriorato ed estremamente conflittuale, fa emergere l'intenzione di procedere ad una sorta di attività "punitiva" (pressoché al confine del vessatorio).
Quello che emerge in maniera palmare e' la grave situazione economica in cui versa l'imputato. L'uomo aveva svolto per anni l'attività da ingegnere ma negli ultimi anni aveva subito un forte tracollo economico; attualmente vive con una piccolissima pensione e le gravi difficoltà economiche si sono verificate suo malgrado; ne sono prova gli incassi non percepiti in tempi ragionevoli soprattutto da parte della P. A., i debiti necessariamente contratti con istituti di credito, i quali hanno via via provocato un negativo effetto "a cascata" sulla capacità economica e finanziaria dell'uomo, al punto tale che è stato costretto a cessare la propria attività di ingegnere.
Neppure da sottovalutare e' l'età dell'uomo non più in grado di reperire un'attività lavorativa; secondo un orientamento consolidato della Cassazione lo stato di disoccupazione, anche se certificato, non esclude la sussistenza del reato.
Nel caso di specie però lo stato di disoccupazione è stato ampiamente corroborato da "idonei e convincenti elementi indicativi di situazioni che si sono tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nell'impossibilità di adempiere, sia pure in parte alla prestazione".
Il G.O.T. sulla scorta di tutti questi elementi ha ritenuto non sussistesse il reato di cui all'art. 570 c. p. ed ha quindi pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.