Non serve il consenso dell'interessato, se i dati sensibili sono utilizzati per esigenze di difesa. Lo ha confermato la prima sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16284 depositata il 16 luglio scorso, in una vicenda inerente la delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio a causa del disturbo noto come "bipolarismo di tipo I" di cui era affetta una delle parti contraenti, tale da influire sulle sue capacità di discernimento.
Nel caso di specie, la Corte d'Appello di Catanzaro accoglieva la domanda dello "sposo" volta ad ottenere la dichiarazione dell'efficacia nell'ordinamento italiano della sentenza del Tribunale Ecclesiastico di Reggio Calabria, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per incapacità dell'altro coniuge a contrarre, escludendo che la pronuncia fosse contraria alle disposizioni dell'ordinamento interno che tutelano la privacy e la riservatezza delle persone.
Il caso finiva in Cassazione, la quale, dichiarando inammissibile il ricorso della donna, poiché basato su censure inerenti l'apprezzamento in via diretta della sentenza delibata, insindacabile in sede di legittimità, ha escluso la contrarietà della pronuncia all'ordine pubblico, confermando il principio di diritto enunciato dal giudice del merito secondo cui "a norma degli artt. 4 ed 11 del d. lgs. n. 196/03, i dati personali oggetto di trattamento vanno gestiti rispettando i canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità del loro utilizzo - ma - ai sensi dell'art. 24 del d. lgs. cit., non serve il preventivo consenso dell'interessato ove essi siano impiegati per esigenze di difesa nel giudizio negli strétti limiti in cui ciò sia necessario".