di Angelo Casella - Costituzione italiana, art. 47: "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, favorisce l'accesso alla proprietà dell'abitazione, disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito".
Tre solenni statuizioni, dense di contenuti conseguenti e che impongono al legislatore precise linee di indirizzo da realizzare.
Cominciamo dalla prima: "incoraggia e tutela il risparmio".
Scorrendo la legislazione prodotta dopo l'entrata in vigore della Carta costituzionale, sembra che la direzione seguita dal legislatore vada in senso esattamente contrario e sia indirizzata cioè verso una decisa disincentivazione del risparmio (che, è bene ricordarlo, rappresenta una risorsa fondamentale per lo sviluppo di una collettività).
Senza entrare in troppi dettagli, estranei all'economia di questi brevi appunti, è agevole constatare che - di fatto - lo Stato ha abbandonato completamente il settore credito-finanza, lasciandolo in una condizione di completa autodeterminazione, rivelatasi perniciosa.
Si è arrivati al punto che le scarne disposizioni emanate in questo delicatissimo settore, sono state predisposte e formulate dalla stessa banca centrale, cioè direttamente dalla parte interessata, ed approvate poi in sede parlamentare, senza dibattito.
E' da sottolineare che - oggi - questo anomalo modo di procedere è dettato da norme europee per le quali, è vietato allo Stato emanare disposizioni in tema di credito e risparmio senza il consenso della banca centrale.
Particolarmente dissonante dal dettato costituzionale appare la nuova legge bancaria, che ha regolato ex novo tutta la materia.
Questa legge ha declassato "la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito" da "servizio pubblico" ad "attività d'impresa". In termini più chiari, la legge ha privatizzatol'attività bancaria, conferendole l'assetto giuridico di una attività imprenditoriale privata che ha come scopo primario, non l'interesse pubblico, bensì il conseguimento di un profitto personale (mediante, però, il denaro pubblico).
E' stata così sottratta all'autorità dello Stato una materia che, per la Carta costituzionale, costituisce oggetto di primario interesse collettivo.
Si può incidentalmente rilevare che questa nuova legge recepisce impostazioni e principi, come si è visto, profondamente innovativi, che risultano essere stati introdotti in tutte le nazioni occidentalipressoché contemporaneamente.
Questa universalità lascia la sgradevole sensazione dell'intervento di un concerto sovranazionale dotato di una autorità tale da poter imporre ai governi nazionali indirizzi normativi in linea con propri interessi speculativi del tutto in contrasto con quelli della società civile.
Al di là di tutto ciò, un sistema di norme attinenti - come prescrive la Costituzione - alla tutela ed alla incentivazione del risparmio, sono totalmente assenti dall'ordinamento nazionale.
Il risparmio, in effetti, non è nè incoraggiato, nè tutelato.
Il primo, ed il più semplice provvedimento che ci si potrebbe attendere in tal senso, sarebbe l'emanazione non di titoli pubblici abbandonati agli umori del mercato - sia come quotazione del capitale, sia come livello degli interessi - bensì di Buoni del Tesoro a valore fisso, indicizzati all'inflazione ed a rendimento stabilito dallo stesso Stato emittente, anziché dagli acquirenti nelle c.d."aste".
La tutela del risparmio riguarda anche altre forme di impiego, tra cui principalmente la casa, che esamineremo più oltre.
Anche per ciò che attiene alla protezione del risparmio, l'attenzione del legislatore è piuttosto scarsa e deludente, tanto che sono stati possibili raggiri e truffe colossali ai danni dei risparmiatori, che hanno caratterizzato la storia del Paese negli ultimi anni. Turlupinature molto gravi, che hanno coinvolto direttamente le banche, il comparto delle emissioni obbligazionarie ed azionarie, i titoli "derivati" e le borse valori.
Il controllo del sistema bancario, poi, è rimesso totalmente alla banca centrale, che di tale sistema è diretta espressione ed emanazione. Il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, previsto dalla legge, dispone di poteri solo formali e, sul piano pratico, è del tutto inesistente.
La seconda statuizione: "favorisce l'accesso alla proprietà dell'abitazione", appare non solo non implementata con leggi idonee, ma - al contrario - deliberatamente contrastata.
Ciò che davvero sconcerta, tanto più se si considera che la casa, per motivi di sicurezza, stabilità e contenimento della spesa corrente, è il primo obbiettivo di quel risparmio familiare che dovrebbe essere, anche lui, "incoraggiato".
Ci si potrebbe aspettare che siano stabilite tariffe notarili agevolate, facilitazioni - burocratiche, negli oneri specifici, ecc. - per i mutui fondiari, interventi calmieratori e simili. Ma non troviamo nulla di tutto questo.
Dilaga poi l'abusivismo, ma l'edilizia popolare segna il passo.
Ma è sopratutto la politica fiscale che, lungi dal facilitare, penalizza pesantemente la proprietà fondiaria.
Imposte del tutto inopportune (e per certi aspetti anche illegali) come l'Ici e ancor più, oggi, l'Imu, rappresentano una disincentivazione non solo all'acquisto, ma addirittura alla conservazione della proprietà dell'abitazione.
Il complesso delle imposizioni sulla casa ne trasformano l'acquisto, da rifugio del risparmio e sicuro obbiettivo di economia familiare, in dissipazione pericolosa, ed a volte perfino insostenibile se l'immobile è anche gravato da mutuo.
In argomento, si può addirittura soggiungere che, se la "prima casa" rappresenta il rifugio ed il nido familiare, una seconda casa per le vacanze (entro precisi limiti di costi e dimensioni) è, per una famiglia, un accettabile impiego del risparmio. Poiché l'auspicata diffusione del benessere ha reso la vacanza estiva una abitudine consolidata, il conseguimento di un immobile da destinare a tale scopo non può più dirsi un lusso eccessivo, bensì un appropriato collocamento ed una economia di spesa, da trattare fiscalmente con un certo riguardo.
Questo fenomeno ha assunto del resto una importante dimensione sociale e come tale è da regolamentare conformemente all'interesse collettivo, anche e sopratutto a fini ambientali, ma non è certamente da penalizzare in quanto tale.
La terza direttiva impone l'obbligo di disporre norme con le quali lo Stato "disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito".
Qui, ci troviamo nella notte più buia.
Lo Stato non disciplina del tutto il credito. Può dirsi anzi che lo ignori completamente, tollerando abusi e comportamenti non solo abnormi e illegali, ma assolutamente contrari all'interesse collettivo.
Si tratta di un vuoto legislativo che frena pesantemente lo sviluppo del Paese.
Nessun atto legislativo è stato emanato per indirizzare l'impiego della raccolta in funzione di obbiettivi generali di sviluppo e di supporto alle imprese ed alle famiglie.
Manca una qualunque parvenza di coordinamento programmato del credito, sia a livello territoriale che funzionale e di scopo.
Il sistema bancario - nel suo insieme ed in ogni suo singolo stabilimento - gode in proposito della più assoluta autonomia ed arbitrio, senza alcun vincolo nè controllo, diretto o indiretto, in ragione dell'interesse collettivo che è del tutto estraneo alla gestione del credito e del risparmio.
Con il risultato che il denaro della collettività è utilizzato per azzardate speculazioni e avventurosi investimenti verso canali privilegiati. Sovente in scoperto danno degli interessi della collettività.
Certamente, anche l'eccessiva espansione delle banche estere è obbiettivamente di ostacolo alla imposizione di un piano comune degli impieghi. Comunque, è del tutto assente anche il più timido tentativo in questa pur essenziale direzione. Nessuna norma è stata emanata per indicare al sistema bancario obbiettivi preferenziali o convergenze di utilità comune. Meno che mai per imporre limiti o divieti.
E di questa assenza si avvertono le ricadute negative specialmente nell'attuale fase congiunturale che vede fortemente penalizzate le piccole e medie imprese e le stesse famiglie.
Quanto al "controllo" del credito, abbiamo già visto che la vigilanza sul sistema presenta forti limiti sostanziali, dovendosi configurare la banca centrale che lo esercita, più come una sorta di "Consiglio dell'Ordine" bancario, che un organismo indipendente e tutore - senza condizionamenti - dell'interesse collettivo.
Una questione estremamente delicata, atteso anche che il potere della finanza, cresciuto a dismisura negli ultimi cinquant'anni, è in grado oggi di muoversi in totale arbitrio godendo, in soprappiù, dell'appoggio indiretto del potere pubblico.
Le disastrose conseguenze di questa impostazione istituzionale sono sotto gli occhi di tutti.
Angelo Casella