In caso di testamento "dubbio", la qualificazione di erede o legatario spetta al giudice sulla base di un'indagine condotta sul contenuto delle disposizioni del de cuius. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14315 del 24 giugno scorso, in una controversia tra eredi riguardante un fondo, in forza di testamento lasciato dallo zio defunto, su cui esisteva contratto preliminare di vendita del quale, parte ricorrente chiedeva la nullità e, in subordine, l'inefficacia poiché trattasi di contratto simulato.
Rigettate sia in primo che in secondo grado le proprie istanze, la ricorrente proponeva ricorso in Cassazione denunciando erronea interpretazione del testamento e in particolare della disposizione concernente la devoluzione del fondo, oggetto del contratto (di compravendita) in controversia, lasciato in comunione alla stessa (quale componente del gruppo dei nipoti ex sorore).
Nel caso di specie la Corte ha ricordato che "a norma dell'art. 588 c.c., sono attributive della qualità di erede le disposizioni testamentarie che, indipendentemente dalle espressioni usate dal testatore, comprendono l'universalità dei beni o una parte di essi considerata come quota dell'eredità, mentre attribuiscono la qualità di legatario le disposizioni che assegnano i beni singolarmente in modo determinato.
Nella parte motiva della sentenza la Corte fa poi notare che l'indagine diretta a stabilire la ricorrenza in concreto dell'una o dell'altra ipotesi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e, quindi, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
Tornando al caso concreto, la corte territoriale attenendosi "al contenuto obiettivo dell'atto, ha valorizzato l'espressione "nomino mia erede" adoperata dal testatore prima di articolare in concreto il contenuto della o delle relative attribuzioni testamentarie".