di Roberto Cataldi
Il Garante della privacy con un provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 126 del 3 giugno scorso ha detto no alla installazione dei cookie per finalità di marketing senza il consenso degli utenti.
Ciò significa che chi si metterà a "surfare" su internet oltre alle consuete pubblicità troverà sempre più spesso un ulteriore banda nera che gli chiederà di decidere se consentire o no ai gestori dei siti internet di raccogliere informazioni sui siti visitati per poter mostrare pubblicità più attinente ai propri interessi.
Fino a qualche hanno fa, se qualcuno avesse parlato di cookie, sarebbe venuta in mente la famosa pubblicità di una carta alluminio con un nome simile (cuki) e che trova nella pronuncia della parola la stessa assonanza.
Poi si è capito che i cookies sono cosa diversa e non sono altro che piccoli file che i siti web salvano sull'hard disk di un nuovo utente alla sua prima visita.
Sono davvero molti i siti (quasi la totalità) che se ne avvalgono, perché servono a capire con quale frequenza l'utente visiti le pagine del sito e che tipo d'informazioni stia cercando. Forse l'affinità tra cookies e cuki (credo fosse questo il nome dell'alluminio), non sia allora solo nella pronuncia.
In un vecchio spot ricordo due ragazzini che, dopo una corsa per le vie della città, rientravano in casa lanciando alla loro madre un pallone da football americano che lei, prontamente bloccava con la carta alluminio, tesa tra le braccia.
Una protezione unica: una barriera contro luce, aria e odori! Ecco dove sta la differenza, i cookies sono considerati una sorta d'intrusi, la carta cuki è un blocco totale di agenti esterni.
Forse il garante avrà immaginato che dietro i cookie ci sia qualche persona intenta a spiare i nostri comportamenti ma sappiamo bene che non è così. Le informazioni sono raccolte in modo automatico e gestite in maniera altrettanto automatizzata.
Anche Google utilizza i cookie e li utilizzano la quasi totalità dei siti che ospitano banner pubblicitari. Lo scopo? Profilare gli utenti in modo tale da personalizzare l'esperienza di navigazione. A che serve mostrare la pubblicità di un profumo per donna a un utente uomo. non è meglio mostrarli a pubblicità di un'auto se nel suo percorso di navigazione ha cercato informazioni in quel settore?
C'è poi da dire che è sempre esistita in ogni caso la possibilità per l'utente di disattivare una volta per tutte i cookies senza bisogno di appesantire il web con la ripetuta e fastidiosa presenza di banner di notifica.
Sarebbe bastato ad esempio richiedere ai produttori di pc di richiedere agli utenti una sola volta (al primo utilizzo) di scegliere se accettare o meno questi cookies spiegando di cosa si tratta.
Ora che il Garante della privacy voglia ritenere insufficiente ogni altra modalità ed imporre un banner per informarci meglio e metterci in condizioni di poter bloccare questi sconosciuti agenti esterni può anche andare bene, ma in una società dove, le persone che viaggiano su internet e che hanno un account su social network quali Facebook, Twitter o Linkedin, non hanno problemi a mettere in piazza questioni private, la cosa mi sembra comunque quanto meno opinabile. Se non altro perché l'obbligo di mostrare un banner per avvisare l'utente e richiedere l'assenso all'utilizzo dei cookies, non migliora di certo l'esperienza di navigazione e comunque toglie risorse economiche ai siti internet (si sa le pubblicità mirate funzionano meglio e sono generalmente più apprezzate dai lettori) peggiorandone di conseguenza la qualità.
Senza andare troppo lontani, se prendiamo il nostro smartphone e nelle impostazioni deflagghiamo l'opzione accetta cookie, andiamo di sicuro incontro a fastidiosi problemucci, quali le reimpostazioni della password o il blocco di alcuni siti che solitamente utilizziamo.
In questo modo il nostro fare "surf" diventerà un continuo cadere dalla tavola… e questo sicuramente nessuno lo vuole. Rendiamoci conto di una cosa.
Prendiamo Facebook, il più famoso dei Social Network. La maggior parte dei profili che registrati, tendono a raccontare la verità, bene o male. In un modo o nell'altro questo diario digitale racconta la nostra vita e anche tutto quello che siamo costretti a subire. Assistiamo quindi quotidianamente a colloqui di lavoro, divorzi, amori, funerali o continui abbandoni di animali.
Un tempo internet ci ha fatti diventare tutti agenti di viaggio, in un altro tutti critici, ora sembriamo addirittura dei veri fotoreporter sul fronte di Guerra. Immagini strazianti davvero. E che dire delle sevizie continue che siamo costretti a osservare su cani, gatti elefanti eccetera eccetera. Se tutti questi video e queste immagini possono risultare un pugno nello stomaco per noi adulti, (mi auguro per la maggior parte degli esseri umani), immaginiamo cosa possano fare nella testa di un bambino. Perché, forse non ce ne rendiamo già più conto.
Siamo ormai tutti abituati o meglio ottenebrati da questa nuova ondata di super tecnologia hi-tech nella quale viviamo coinvolti, ma le immagini che spariamo come fionde nelle teste dei nostri figli, quelle sì che potrebbero essere un grosso problema. Mi viene da ridere poi quando in Tv sento parlare di fascia protetta… e la fascia protetta su internet, chi me la dovrebbe garantire?
Ci preoccupiamo della nostra privacy ma pubblichiamo tutto su di noi, oppure lo raccontiamo davanti a un giudice mentre alle nostre spalle c'è una lunga fila di avvocati e di testimoni in attesa del loro turno ad ascoltare tutto quello che stiamo dicendo.
Qualche anno fa a Los Angeles girava un detto. L'americano ha schifo a bere dalla stessa lattina di coca cola di un altro, ma fuma tranquillamente dallo stesso spinello. Siamo noi i primi a raccontare le nostre vite sui social.
Forse si tratta di un gioco premeditato dai grandi capi della terra, chissà, ma sembra davvero un controsenso che il Garante della privacy intervenga sui cookies in una situazione fortunatamente o sfortunatamente degenerata. Credo che l'alluminio cuki, ormai non basti più a preservarci.
Roberto Cataldi