Il provvedimento di revoca del Presidente del Consiglio comunale
Prof. Luigino SERGIO
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Il Presidente del Consiglio comunale
La figura di Presidente del Consiglio comunale, non era contemplata nella prima versione della L. 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali.
L'art. 36, comma 1, prevedeva, infatti, che fosse il Sindaco a convocare e presiedere il Consiglio comunale.
Successivamente la L. n. 3 agosto 1999, n. 265, Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla L. 8 giugno 1990, n. 142, con l'art. 11, comma 3, aggiunse alla L. n. 142/1990 il comma 3-bis, con il quale s'introdusse nell'ordinamento la figura del Presidente del Consiglio comunale.
Nel vigente TUEL, di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, la presidenza del Consiglio comunale è contenuta nell'art. 39 che disciplina in modo organico la figura del Presidente del Consiglio comunale; obbligatoria nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti: «i Consigli … comunali dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti sono presieduti da un Presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta del consiglio» e facoltativa nei Comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti: «nei Comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti lo statuto può prevedere la figura del Presidente del consiglio».
Ciò significa che nei Comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti vi è una facoltà statutaria a prevedere l'istituzione della figura del Presidente del Consiglio comunale, nel senso che qualora lo statuto del Comune non abbia l'abbia prevista, la presidenza del consiglio compete al Sindaco, assieme a tutte le funzioni inerenti alla carica, come la convocazione del Consiglio, la direzione dei suoi lavori, la proclamazione dell'esito delle votazioni consiliari, la sottoscrizione dei verbali della seduta, la presidenza della conferenza dei capigruppo.
L'importanza della figura del Presidente del Consiglio comunale deriva dalla centralità assegnata dal TUEL al Consiglio comunale, definito dall'art. 36, comma 1, «organo di governo», al pari della Giunta e del Sindaco; dall'essere «organo di indirizzo e di controllo politico - amministrativo»; dalle numerose competenze assegnategli dall'art. 42 del TUEL; dalla partecipazione «alla definizione, all'adeguamento e alla verifica periodica dell'attuazione delle linee programmatiche da parte del Sindaco … e dei singoli assessori».
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L'istituto della revoca
Nell'ambito del diritto amministrativo la revoca è disciplinata dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 21-quinquies (inserito dall'art. 14, comma 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15), il quale prevede che «per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti … ».
Pertanto l'istituto della revoca è limitato ai provvedimenti ad efficacia durevole; mentre esso ha come presupposti la sopravvenienza di motivi di pubblico interesse; il mutamento della situazione di fatto; la nuova valutazione dell'interesse pubblico originario e come risultato sancisce l'inefficacia ex nunc dell'atto di revocato.
L'istituto della revoca del provvedimento amministrativo ricomprende tanto il potere (c.d. jus poenitendi) della p.a. di ritirare i provvedimenti aventi efficacia durevole sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico o di mutamenti della situazione di fatto, quanto quello di rivedere il proprio operato e di correggerlo, in quanto affetto da inopportunità, in base a una rinnovata diversa valutazione dell'interesse pubblico originario.
Ponendo in essere un provvedimento di revoca, la p.a. può agire in modo discrezionale, ma deve comparare tutti gli interessi coinvolti, valutando, altresì, l'affidamento che il destinatario del provvedimento originario aveva riposto nel suo mantenimento in vita.
La revoca è contemplata dalla L. n. 241/1990 per il «provvedimento amministrativo ad efficacia durevole» e può essere attuata «da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge», restando esclusi dalla revoca i provvedimenti ad efficacia istantanea che esauriscono i loro effetti allorquando sono emanati.
Ciò significa che nella sostanza la revoca intende vanificare un rapporto di durata, produttivo di effetti che si protraggono nel tempo e ritenuto inopportuno.
Tutto quanto detto è servito per delimitare giuridicamente la figura della revoca che nel caso di specie è riferita al solo provvedimento amministrativo, così come è rubricato dall'art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, «revoca del provvedimento», in quanto la revoca del Presidente del Consiglio comunale è pur sempre un provvedimento amministrativo.
Ritornando allo specifico occorre aggiungere che la legge non prevede l'istituto della revoca del Presidente del Consiglio comunale, essendo quest'ultima demandata allo statuto ed al regolamento di funzionamento del Consiglio e della Giunta del Comune che devono disciplinare gli aspetti procedurali, tecnici, di forma della stessa.
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La revoca e le sue logiche
Il Presidente del Consiglio comunale può essere, metaforicamente, paragonato ad un Giano bifronte, rappresentato come un busto a due fronti che guarda in direzioni opposte: inizio e fine, entrata e uscita, interno ed esterno; questo in quanto il ruolo del Presidente del Consiglio è particolare, poiché per un versante il Presidente del Consiglio comunale è un organo specifico che presiede un soggetto giuridico dotato di autonomia, così come previsto dal TUEL, art. 38, comma 1, «i Consigli sono dotati di autonomia funzionale e organizzativa» che è espressione della sintesi di tutte le forze politiche presenti in Consiglio comunale e che implica, per questo, una funzione di garanzia; mentre per l'altro versante il Presidente del Consiglio comunale è eletto con i voti della maggioranza (nella stragrande parte dei casi), la quale ritiene che il Presidente eletto possa (e debba) privilegiare tale parte politica, al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi programmatici.
Ecco perché Giano bifronte; in quanto organo dotato di una duplice valenza: organo autonomo e contemporaneamente soggetto appartenente ad uno schieramento politico nonché espressione della maggioranza consiliare.
È del tutto evidente che tale ambivalenza può essere (e frequentemente lo è) fonte di contrasti concernenti l'operato del Presidente del Consiglio comunale che sfociano, non di rado, in richieste di revoca del Presidente.
In linea di principio, lo statuto ed il regolamento per il funzionamento del Consiglio comunale, di solito, contemplano l'istituto della revoca e prevedono la possibilità di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente del Consiglio comunale.
A titolo di esempio il regolamento sul funzionamento del Consiglio comunale di Lecce (emendato con Deliberazione Consiliare n. 14 del 15 febbraio 2013), all'art. 69, Compiti e poteri del Presidente del Consiglio comunale, ai commi 1 e 2 prevede che «il Presidente e i due Vice Presidente cessano dalla carica in caso di dimissioni, decadenza, morte o revoca. La proposta di revoca, congruamente motivata in relazione a gravi violazioni di legge o di regolamento, va presentata da almeno un terzo dei Consiglieri e deve ottenere il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti assegnati. 2. Il Presidente e i due Vice Presidente, in caso di dimissioni, decadenza, morte o revoca, vengono surrogati nella prima seduta del Consiglio successiva all'evento».
Allorquando, però, si è in assenza di previsioni statutarie concernenti la revoca del Presidente del Consiglio comunale, la giurisprudenza è orientata nel senso dell'illegittimità della revoca.
Per altro verso, la giurisprudenza prevede la possibilità di revoca dalla carica di Presidente del Consiglio comunale, nel caso questo violi i doveri istituzionali di neutralità politica, vanificando così il ruolo di soggetto super partes che egli deve assumere come organo istituzionale; mentre, di converso, sanziona l'illegittimità della revoca qualora essa si basi sulla venuta meno dell'assonanza politica con la maggioranza politica dalla quale è stato votato.
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La posizione della giurisprudenza
Ad avviso del Consiglio di Stato, Sez., V, 26 novembre 2013, n. 5605 è legittima la revoca del Presidente del Consiglio comunale qualora la motivazione della delibera richiama fatti ben precisi (pubbliche esternazioni contenenti giudizi critici all'indirizzo di Sindaco, assessori e Giunta nel suo complesso, apparsi su quotidiani nazionali e locali; dichiarazioni cui si erano accompagnate decisioni personali di abbandonare la presidenza; avvertimenti ai colleghi circa possibili iniziative giudiziarie per ottenere il risarcimento dei danni in caso di revoca dell'incarico, ecc.), addotti a presupposto della decisione di rimuovere il Presidente stesso e che comprovano una evidente perdita di neutralità da parte sua.
Sempre per i giudici del Consiglio di Stato (Sez. V, 26 novembre 2013, n. 5605) «la funzione del Presidente del Consiglio comunale è di carattere istituzionale e non politica, per cui la sua revoca non può che essere causata dal cattivo esercizio di tale funzione, tale da comprometterne la neutralità, non potendo essere motivata sulla base di una valutazione fiduciaria di tipo strettamente politico (sentenza 25 novembre 1999, n. 1983) … [revoca] che non può essere causata che dal cattivo esercizio della funzione, in quanto ne sia viziata la neutralità e deve essere motivata perciò con esclusivo riferimento a tale parametro e non ad un rapporto di fiduciarietà politica" (sentenza 6 giugno 2002, n. 3187) … quindi, la Sezione ha precisato che possono costituire ragioni legittimamente fondanti la revoca in questione tutti quei comportamenti, tenuti o meno all'interno dell'organo, i quali, costituendo violazione degli obblighi di neutralità ed imparzialità inerenti all'ufficio, sono idonei a fare venire meno il rapporto fiduciario alla base dell'originaria elezione del presidente (sentenza 18 gennaio 2006, n. 114)».
La revoca (come del resto l'elezione) trae origine da apprezzamenti di carattere politico e tuttavia non esprime una scelta libera nei fini, dovendo comunque sempre porsi nel solco del perseguimento delle finalità normative, non disponibili da parte dei componenti del Consiglio e dalle forze in esso presenti, di garantire la continuità della funzione di indirizzo politico-amministrativo dell'ente comunale.
A parere dei giudici del C.d.S. «la revoca … non può prescindere da fatti specifici inerenti la carica, ancorché gli stessi non siano commessi nell'esercizio delle funzioni presidenziali e dalla conseguente valutazione che i componenti dell'organo da tali fatti traggono in ordine alla persistente validità dell'iniziale investitura».
La carica di Presidente del Consiglio comunale ha un certo grado di stabilità, che ne esclude una sorta di rimozione ad nutume apre la via al sindacato del giudice amministrativo sul relativo processo decisionale, con la conseguenza che le cause della revocaandranno ricavate combinando il carattere di garanzia del ruolo presidenziale con la discrezionalità politico-amministrativa (TAR Milano, Sez. I, 14 dicembre 2011, n. 3150).
Ad avviso dei giudici del TAR (Catania, Sez. III, 9 novembre 2011, n. 2662) «la giurisprudenza (cfr. TAR, Palermo, sent. n. 1062/2008) … ha avuto modo di precisare che il ruolo del Presidente del Consiglio comunale è strumentale non già all'attuazione di un indirizzo politico di maggioranza, bensì al corretto funzionamento dell'organo stesso e come tale non solo è neutrale, ma non può essere soggetto al mutevole atteggiamento fiduciario della maggioranza, di guisa che la revoca di detta carica non può essere attivata per motivazioni politiche, ma solo istituzionali, quali la ripetuta e ingiustificata omissione della convocazione del Consiglio o le ripetute violazioni dello statuto o dei regolamenti comunali (v. anche Cons. di Stato, Sez. V, 18 gennaio 2006, n. 114).
Secondo il TAR Palermo (sez. I, n. 1062/2008)è legittima la previsione di uno statuto Comunale che prevede la possibilità di revocadel Presidentee del vice Presidentedel Consigliocomunale in caso di ripetuta ed ingiustificata omissione della convocazione del consesso o di ripetute violazioni dello statuto o dei regolamenti comunali, in quanto sono eventi che collidono con il ruolo di garanzia affidato a tali figure, giustificando la sanzione della revocadalla carica che appare misura idonea allo scopo di ripristinare l'equilibrio istituzionale che deve essere assicurato dagli organi in questione.
Di recente (TAR Lecce, Sez. I, sentenza n. 528/2014) la giurisprudenza ha ribadito che «la figura del Presidente riveste un carattere istituzionale e, di conseguenza, che la revoca non può essere che causata dal cattivo esercizio di tale funzione, tale da comprometterne la neutralità, non potendo essere motivata sulla base di una valutazione fiduciaria di tipo strettamente politico. La figura del Presidente è posta a garanzia del corretto funzionamento di detto organo e della corretta dialettica tra maggioranza e minoranza, per cui la revoca non può essere causata che dal cattivo esercizio della funzione, in quanto ne sia viziata la neutralità, e deve essere motivata perciò con esclusivo riferimento a tale parametro e non a un rapporto di fiducia».
Nel caso di specie, il Presidente del Consiglio comunale non ha adempiuto agli obblighi di convocazione del Consiglio nei modi e nei tempi previsti dagli artt. 43, comma 1, e 39, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 e dalle disposizioni statutarie dell'ente.
Alla luce del richiamato orientamento giurisprudenziale, la convocazione del Consiglio comunale dilazionata nel tempo e con un ordine del giorno diverso da quello richiesto, appare elusiva dell'obbligo di cui al comma 2 dell'art. 39 del TUEL; in presenza, come nel caso di specie, di inadempimento, si è verificato il presupposto per l'attivazione dell'intervento sostitutivo, di cui al comma 5, dell'art. 39 del d.lgs. n. 267/2000.
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Il provvedimento di revoca
La revoca del Presidente del Consiglio è disposta con un provvedimento amministrativo (categoria di genere) tipico degli organi collegiali del Comune: la deliberazione consiliare (categoria di specie).
La deliberazione è un atto giuridico imputato al collegio emanante che può essere assunta all'unanimità dei componenti il collegio o a maggioranza.
Nel gergo amministrativo, il termine delibera o deliberazione significa decisione, approvazione; è un atto giuridico che certifica la decisione di un organo collegiale.
La deliberazione rappresenta la conclusione di un procedimento amministrativo (convocazione, seduta, discussione, votazione, verbalizzazione, pubblicazione), con il quale, l'organo interessato rende manifesta la propria volontà.
L'efficacia (esecutività) della deliberazione di revoca è prevista dall'art. 143 TUEL che al comma 3, dispone che «le deliberazioni non soggette a controllo necessario o non sottoposte a controllo eventuale diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione»; mentre al comma 4, recita che «nel caso di urgenza le deliberazioni del Consiglio o della Giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti».
La deliberazione deve rispettare i principi di forma per essa previsti e deve essere motivata, nel pieno rispetto della L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi , la quale all'art. 3, comma 1, prevede che «ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria; [mentre] al comma 2, dispone che «la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale».
Il provvedimento deliberativo deve contenere i pareri dei responsabili dei servizi, così come disposto dall'art. 49 TUEL, il quale ,al comma 1, prevede che «su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione».
Per l'assunzione della deliberazione di revoca ,il Presidente del Consiglio, così come prescrive l'art. 39, comma 2, del TUEL « … è tenuto a riunire il Consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri o il Sindaco …, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste».
La trattazione della deliberazione di revoca del Presidente del Consiglio pone dei problemi applicativi e una serie di dubbi inerenti alla questioni di legittimità del provvedimento giuridico da assumere, qualora egli partecipi alla seduta nella quale è in discussione la sua revoca; presieda l'adunanza; intervenga durante la seduta consiliare; esprima il proprio voto sulla proposta di revoca.
Ad avviso del Consiglio di Stato (Sez. IV, 13 giugno 2008, n. 2970) nel casoche attiene alla presenza di un consigliere comunale, cognato del Presidente del Consiglio revocato), la regola dell'astensione del consigliere comunale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il consigliere, per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale.
Per i giudici del Consiglio di Stato «vige un obbligo generale di astensione dei membri di collegi amministrativi che si vengano a trovare in posizione di conflitto di interessi perché portatori di interessi personali, diretti o indiretti, in contrasto potenziale con l'interesse pubblico (Cfr. Cons. St., Sez. II, 18 febbraio 2004 n. 5486/2003; Sez. IV, 7 ottobre 1998 n. 1291).
Il conflitto d'interessi, nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo «istituzionale» ed un altro di tipo personale (cfr. Cass., 18 maggio 2001, n. 6853 in materia condominiale; Cass. 28 dicembre 2000, n. 16205, su casi di conflitto di interessi relativi a titolari di cariche pubbliche).
La ratio di tale obbligo va ricondotta al principio costituzionale dell'imparzialità dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97 Cost., a tutela del prestigio della p.a. che deve essere posta al di sopra del sospetto, e costituisce regola tanto ampia quanto insuscettibile di compressione alcuna … la regola della astensione del consigliere comunale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il consigliere, per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale; in tal senso il concetto di «interesse» del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire alla adozione di una delibera (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 2003, n. 7050)».
Ad avviso di chi scrive, nel caso di proposta di deliberazione di revoca del Presidente del Consiglio non vi è nei confronti di quest'ultimo il dovere di astensione dal prendere parte alla seduta nella quale è in discussione la sua revoca e dunque di applicabilità nei suoi confronti dell'art. 78 TUEL, comma 2, il quale prevede che «gli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado».
La disposizione di cui sopra concerne posizioni di interesse direttamente riferibili all'amministratore, in grado di avvantaggiarlo come persona in quanto tale; mentre nel caso specifico non è coinvolto alcun interesse individuale di un soggetto in quanto persona; poiché il Presidente del Consiglio comunale non è portatore di un interesse privato, ma del pubblico interesse a ricoprire un pubblico ufficio al quale è stato legittimamente preposto.
Inoltre il Presidente del Consiglio da sfiduciare può illustrare le proprie ragioni, per evidenziare la correttezza del proprio operato e l'infondatezza delle accuse che a lui vengono mosse e che sono alla base della proposta di deliberazione di revoca dalla carica istituzionale e prendere parte alla votazione finale.
La deliberazione di revoca è impugnabile davanti al giudice amministrativo, il cui sindacato può toccare tanto il rispetto del procedimento amministrativo previsto tanto dallo statuto dell'ente, quanto dal regolamento sul funzionamento del Consiglio, quanto i vizi del provvedimento de quo,inerenti la violazione di legge e l'eccesso di potere, assieme alle sue figure sintomatiche, indizi o sintomi, la cui presenza rivela in genere un cattivo uso del potere da parte dell'amministrazione: sviamento di potere; irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà dell'atto; travisamento ed erronea valutazione dei fatti; ingiustizia manifesta.
Qualora la deliberazione di revoca impugnata sia riconosciuta dal giudice illegittima, viene ripristinata del tutto la situazione antecedente al provvedimento di revoca, con la conseguenza che il Presidente del Consiglio, in un primo momento revocato, viene restituito alle sue funzioni istituzionali dalle quali era stato escluso.
Prof. Luigino SERGIO
già Direttore generale della Provincia di Lecce