Beccata con le mani nel sacco, mentre cercava di impossessarsi di orologi, cellulari e altri oggetti preziosi, una donna veniva trattenuta all'interno della casa del derubato, sotto la sua vigilanza, nell'attesa dell'arrivo dei carabinieri. Per la Cassazione, scatta comunque la "consumazione" del reato, a prescindere dall'impossessamento effettivo della refurtiva.

Condividendo le tesi della Corte d'appello di Milano che confermava la condanna di primo grado in ordine al delitto di furto aggravato, la S.C., con sentenza n. 36450 dell'1 settembre 2014, ha affermato che "l'impossessamento si verifica anche quando, pur rimanendo il ladro sotto la sorveglianza del derubato, quest'ultimo è costretto ad esercitare violenza o pressione sull'autore del furto al fine del recupero della refurtiva, come è avvenuto nel caso di specie essendo stato costretta la persona offesa a chiedere l'intervento delle forze dell'ordine".

In materia di furto, ha, infatti, sottolineato la Corte, "sono irrilevanti sia il criterio spaziale e quello temporale, sia la durata del possesso dell'agente. Ai fini della determinazione dell'impossessamento, che segna il momento consumativo del reato, è sufficiente che l'agente consegua la disponibilità materiale della cosa". Né può rilevare, a tal fine, la circostanza che l'agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva, immediatamente dopo la sottrazione, rimanendo sotto la vigilanza del possessore derubato, ed essendo obbligato a riconsegnarla a causa dell'intervento dei carabinieri che lo traevano in arresto.

Con questo principio, la Cassazione ha quindi rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. 


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