Se in termini legislativi famiglie di fatto e relazioni more uxorio non sono ancora equiparabili ai rapporti matrimoniali - se non limitatamente ad alcuni aspetti (vedi "ereditarietà" del contratto di locazione) - la Giurisprudenza degli ultimi anni ha fatto però molti passi avanti verso il riconoscimento delle posizioni delle persone conviventi.
Ad esempio, con la sentenza 19423 depositata il 15 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha affermato il diritto del convivente superstite (o "vedovo") a rimanere ad abitare nella casa "di famiglia" ancorché non ne sia proprietario. Nello specifico, alla morte senza testamento di uno dei membri della coppia, il nipote/erede di questi tentava di cacciare in malo modo la compagna del nonno dall'abitazione di cui era appena divenuto proprietario. Ma la Suprema Corte ha dato ragione alla donna - come del resto già avevano fatto i giudici di merito - riconoscendo a questa un vero e proprio diritto a non essere mandata via dalla casa del compagno defunto.
Secondo i Giudici della seconda sezione civile della Corte Cassazione, infatti, la coppia di conviventi more uxorio - sebbene non legalmente coniugati - condivideva il diritto di abitazione sulla casa in questione, come luogo dove mettere in atto il proprio progetto di vita comune: "un potere di fatto basato su un interesse proprio del convivente, diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità e tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare". Pertanto, così come non avrebbe potuto il convivente proprietario mettere alla porta la compagna dall'oggi al domani, così non è permesso fare nemmeno al legittimo erede del de cuius.