Perché si possa integrare il reato di minaccia è sufficiente la semplice attitudine ad intimorire anche se il male minacciato risulta generico come nel caso in cui ci si limiti a dire "tu non sai chi sono io", "te la farò pagare".
Anche una minaccia generica come questa risulta idonea a determinare un turbamento nella vittima perché, spiega la Corte, "l'integrazione del reato di minaccia richiede che si abbia una limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima, mentre non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi in concreto, essendo sufficiente la mera attitudine della condotta ad intimorire". Secondo la cassazione risulta anche "irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente".
La vicenda presa in esame dai giudici di Piazza Cavour riguarda una lite intercorsa tra due donne per via di un parcheggio.
Durante la lite l'imputata aveva detto alla persona offesa che non aveva capito con chi aveva a che fare e che glie l'avrebbe fatta pagare. Aveva anche aggiunto che non gli conveniva mettersi contro di lei avendo un fidanzato avvocato.
L'imputata aveva tentato di difendersi mettendo in risalto il carattere generico delle parole pronunciate che, a suo dire, non sarebbero idonee a determinare nel soggetto passivo un qualunque stato di timore.
Una tesi che non ha fatto breccia nei giudici di Piazza Cavour secondo i quali neppure il fatto che le due donne si siano lasciate andare ad intemperanze verbali reciproche può fa venir meno l'autonoma rilevanza di espressioni intimidatorie.
Vedi anche la guida Il reato di minaccia