In materia di responsabilità medica e, in particolare, sull'argomento molto dibattuto del "consenso informato", l'opera interpretativa della Corte di cassazione è fondamentale.
Con la sentenza
n. 19731 del 19 settembre 2014 (v. articolo "Cassazione: se il paziente non è stato messo al corrente dei rischi, il consenso informato non è valido"), ad esempio, i giudici hanno chiarito che l'informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico o su un trattamento sanitario, ovvero il c.d. "consenso informato", non è solo un obbligo o un dovere che attiene alla buona fede nella formazione del contratto, bensì è elemento indispensabile per la validità del contratto stesso, che richiede un consenso consapevole del paziente, nonché elemento costitutivo della "protezione" garantita a livello costituzionale e dalle altre norme di diritto positivo, tese "ad aumentare le garanzie a favore dei consumatori del bene della salute".Si tratta, in realtà, di una pronuncia che conferma un orientamento pressoché unanime, sancito anche dalle Sezioni Unite, secondo il quale "il fondamento del consenso informato, viene ad essere configurato come elemento strutturale dei contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore della prestazione di garanzia è idonea a ledere diritti inviolabili della persona cagionando anche pregiudizi non patrimoniali" (Cass. SS.UU. n. 26973/2008).
Ripercorrendo la stessa ragion d'essere del consenso informato, la terza sezione civile della Cassazione ha affermato che la "finalità dell'informazione che il medico è tenuto a dare è quella di assicurare il diritto all'autodeterminazione del paziente, il quale sarà libero di accettare o rifiutare la prestazione medica" (Cass. n. 19220/2013).
Così il consenso informato si configura, nella sostanza, come un vero e proprio diritto della persona "che trova fondamento nei principi espressi nell'articolo 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge" (Cass. n. 20984/2012).
Di conseguenza, "l'acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l'intervento terapeutico, di talchè l'errata esecuzione di quest'ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell'obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti rispettivamente, all'autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all'integrità psicofisica - pregiudicati nelle due differenti ipotesi" (Cass. n. 10414/2016).
Per tutte tali ragioni, il consenso deve possedere i seguenti requisiti, sanciti dalle diverse pronunce della Corte di legittimità: deve essere sempre "completo" ed "effettivo"; deve provenire dal paziente in modo "specifico ed esplicito"; deve essere, nei limiti del possibile, "attuale" e "informato", ovvero consapevole, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, sul quale, a fronte di un'eventuale allegazione di inadempimento da parte del paziente, incombe l'onere di provare di avere adempiuto tale obbligazione (vai alle guide "Il consenso informato - nozioni generali", "Il consenso informato - approfondimenti" e alla raccolta di articoli e sentenze sul consenso informato).
A tal proposito rileva la recente sentenza numero 10414/2016, nella quale si è precisato che "in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest'ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l'intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l'"id quod plerumque accidit", in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l'intervento e l'evento lesivo".
Quanto alle modalità dell'informazione, la giurisprudenza ha avuto modo diverse volte di ribadire che la stessa deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e complete, adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo stato soggettivo e del bagaglio di conoscenze di cui dispone, in grado di informare sui possibili effetti negativi di una terapia o di un trattamento chirurgico, sulle possibili controindicazioni e sulla gravità degli effetti (Cass. Pen. n. 37077/2008) non potendo bastare le indicazioni su un modulo prestampato e una firma, ma occorrendo invece un colloquio del medico con il paziente (cfr. ex multis, Cass. n. 19220/2013).
Solo il valido consenso del paziente, espresso a seguito della completa informazione da parte del medico, fa da presupposto alla liceità dell'attività medico-chirurgica (salvo casi eccezionali in cui il malato non sia in grado, per le sue condizioni di prestare un "qualsiasi" consenso o dissenso, ovvero dove sussista lo stato di necessità di cui all'art. 54 c.p.), per cui la mancanza o l'invalidità del consenso informato - anche laddove si sia di fronte all'intervento chirurgico "perfetto" (Cass. n. 16543/2011) o ad eventi straordinari (Cass. n. 27751/2013) - determina l'arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza, sia civile che penale, "in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo" (Cass. Pen. n. 2347/2014).
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