Anche se l'imitazione è "grossolana" e non rispecchia fedelmente il marchio originale, è integrato il reato di contraffazione. Ad affermarlo è la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 38919 del 23 settembre 2014, rigettando il ricorso del titolare di un negozio ritenuto colpevole del reato ex art. 474 c.p., per aver esposto capi d'abbigliamento recanti segni distintivi tali da interferire con i marchi originali.
Ritenendo infondate le doglianze del ricorrente - secondo il quale trattandosi di un'imitazione servile del marchio (nella specie, una margherita a 5 petali in luogo di quella a 6 del noto marchio Guru), non vi era alcuna possibilità di confusione tra i segni, data la scarsa qualità dei prodotti, il confezionamento dozzinale e il prezzo, ipotizzandosi al più una forma di concorrenza sleale - la Cassazione ha confermato la statuizione della Corte d'Appello di Bologna che riteneva sussistenti i reati contestati, rideterminando la pena per il residuo reato ex art. 648 c.p. per intervenuta prescrizione del delitto ex art. 474 c.p.
"Il reato di cui all'art. 474 c.p. - ha ricordato infatti la S.C. - richiede, per la sua configurabilità, la falsa riproduzione degli elementi essenziali del marchio registrato nella loro interezza, ed ha per oggetto la tutela della fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno". Pertanto, ha affermato la Corte, ad assumere rilievo non è soltanto "la pedissequa riproduzione del marchio ma anche ogni riproduzione che, per quanto non perfetta, sia idonea a dare l'apparenza del marchio originale", giacchè l'art. 474 c.p.c punisce sia "la riproduzione integrale, emblematica e letterale del segno distintivo o del marchio (contraffazione) - sia - la riproduzione parziale di essi, realizzata in modo tale da potersi confondere col marchio o col segno distintivo protetto (alterazione)".
Corte di Cassazione testo sentenza 23 settembre 2014, n. 38919