di Amedeo Tumicelli
amedeo.tumicelli@hotmail.it
La riproduzione dell'immagine dei beni culturali è il modo più facile per diffondere la conoscenza del patrimonio storico-artistico, permettendo un'ampia diffusione della sua conoscenza presso il pubblico. Recentemente, la disciplina normativa su questa tematica è stata modificata. Da tempo, infatti, si contestava la farraginosità delle norme sulla riproduzione dei beni culturali, auspicando l'introduzione di una visione maggiormente al passo coi tempi moderni caratterizzati dalla multimedialità e dallo scambio di informazioni. In parte si è andati in questa direzione, ma, contrariamente a quanto annunciato dallo stesso Ministero sul proprio sito internet ufficiale, questa innovazione legislativa non è decisiva per garantire una piena libertà di far foto nei musei. Scopriamo perché.
La ragione per cui l'articolo 12 del decreto legge 83 del 2014 introduce modifiche alla disciplina della riproduzione dei beni culturali è data da un fine di semplificazione e razionalizzazione. Queste correzioni si concretano in un ritocco incisivo dell'articolo 108 del Codice dei beni culturali, il c.d. Codice Urbani, decreto legislativo 42 del 2004. Nel concreto della disposizione, al comma 3, ossia quello destinato alle libere utilizzazioni per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici per finalità di valorizzazione, sono aggiunte le parole "purché attuate senza scopo di lucro", venendo inoltre prevista la parificazione tra soggetti pubblici e privati. L'assenza del lucro è quindi condizione necessaria alla libera utilizzazione, peraltro già sottesa alle prime due eventualità e sostanzialmente anche nella attività di valorizzazione operata dai soggetti pubblici. L'aver introdotto una libera utilizzazione per finalità di valorizzazione anche per soggetti privati rendeva necessario specificare l'estraneità dell'aspetto lucrativo.
Questa nuova disposizione non va a penalizzare le attività già poste in essere dai privati, che fino a questa modifica non erano neppure contemplate come attribuibili di libera utilizzazione, bensì si rende il privato potenziale compartecipe della diffusione del patrimonio culturale purché sia animato da scopi di valorizzazione senza intenti di lucro.
A seguito del comma 3, è stato introdotto un comma 3-bis dal seguente testo: "Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale: 1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni bibliografici e archivistici attuata con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all'interno degli istituti della cultura, l'uso di stativi o treppiedi; 2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro, neanche indiretto".
Questo comma agevola la lettura di fattispecie concrete che hanno creato imbarazzo negli interpreti. Penso ad esempio a come interpretare la diffusione di immagini dei beni culturali attraverso portali internet votati all'informazione ed alla diffusione della cultura, come, ad esempio, Wikipedia. Se infatti parzialmente il comma aggiunto ricalca quanto già previsto da quello precedente, specialmente per quanto riguarda le finalità di studio, più chiara risulta la posizione di chi si occupa della diffusione della cultura per mera condivisione. Da notare il cambiamento di prospettiva rispetto al comma terzo, dove la focalizzazione avveniva sul fine; nel nuovo comma, invece, preminenza assume il modo: sono libere la riproduzione effettuata senza invadenza sul bene culturale e la divulgazione delle immagini se non permette una riproduzione lucrativa, con la cura di specificare che, poste queste basi, il fine deve poi essere a scopo meritorio. A ben vedere, la nuova norma non risolve tutti i problemi: ad esempio, la legittimazione all'acquisizione dell'immagine è esaurita al primo passaggio o si riverbera nei passaggi successivi?
Ugualmente, rimane dubbia la sorte delle foto di beni culturali immesse sui social network: il comma 3-bis diventa liberatorio se, posto che le foto siano state messe in condizione di non essere ulteriormente riprodotte (cosa che, stando i termini di licenza di molti social network in tema di appropriazione dei contenuti immessi dagli utenti, pare più improbabile che probabile), l'attività sia vista come una libera manifestazione del pensiero. Pur con tutta l'ampiezza che si vuol dare a questo concetto, è possibile configurare la semplice riproduzione di un oggetto come una manifestazione di pensiero? O forse la manifestazione di pensiero non è da intendersi come capacità di formulare una propria impressione?
Resta inoltre salvo il fatto che la libera utilizzazione prevede sì di scampare al pagamento di canone o corrispettivo del caso, ma non è esente alla richiesta di consenso alla riproduzione da avanzare all'amministrazione, in base all'articolo 107 del Codice Urbani. Del resto, ci si può basare o su espresse autorizzazioni mediante cartelli affissi o, più spesso, sul lassismo delle istituzioni per garantirsi possibilità di utilizzo svincolandosi dagli adempimenti burocratici.
Insomma, nessuna piena libertà di fare fotografie è stata introdotta: la fotografia per uso personale era già consentita, mentre per le altre forme di libera utilizzazione occorre operare una valutazione caso per caso. Sicuramente, per i portali internet di diffusione della cultura questa riforma è stata un notevole passo avanti, decisamente migliore rispetto alla precaria toppa apportata dall'articolo 70 comma 1-bis della legge 633 del 1941, se non altro perché ora è possibile la diffusione di immagini ad alta risoluzione, ma non è una vittoria definitiva.
Amedeo Tumicelli - amedeo.tumicelli@hotmail.it