Nel reato di sottrazione di un minore, se la condotta è stata realizzata per salvare la figlia da un "pericolo attuale di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile" ricorre l'esimente dello stato di necessità di cui all'art. 54 del codice penale.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, VI sezione penale, con sentenza n. 29507 depositata il 7 luglio 2014, in una vicenda riguardante la sottrazione della figlia minore da parte della madre che aveva agito, in concorso con un altro uomo, per sottrarre la bambina dalle condizioni di degrado sociale e ambientale, sia lei che sia figlia erano costrette a vivere.
Il padre infatti era un alcolista affetto da patologia psichiatrica e viveva anche con una minorenne con cui aveva generato un'altra figlia.
La donna (e l'uomo che l'aveva aiutata), veniva condannata dalla Corte d'Appello di Caltanissetta per il reato di concorso in sottrazione della figlia di minore di lei ex art. 574 codice penale.
Entrambi si sono rivolti alla Corte di Cassazione deducendo l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato de quo, giacché la madre "si sarebbe indotta a sottrarla al padre al solo scopo di tutelare la minore, in quanto costretta a vivere - come da relazioni redatte dai competenti assistenti sociali - in ambiente socialmente degradato e in condizioni igieniche ed economiche precarie".
Una tesi che ha fatto breccia nei giudici della Corte di Cassazione che hanno così annullato la sentenza.
Insomma il processo è da rifare.
Secondo i giudici di piazza Cavour, infatti, le precarie condizioni di vita materiali e morali in cui la donna era costretta a vivere dal convivente e padre naturale della minore, attestate anche dai servizi sociali occupatisi della vicenda, farebbero sussistere l'esimente di cui all'art. 54 c.p.
Né può valere a modificare la situazione, la circostanza che il fatto contestato fosse avvenuto anteriormente all'epoca della redazione della relazione di servizio da parte dell'assistente sociale incaricata delle verifiche in loco, come sostenuto dal padre.
La famiglia, ha rilevato la Corte, "era infatti già nota ai servizi sociali e sanitari per una lunga storia di degrado sociale ed ambientale, con ciò rimarcandosi il dato di una situazione familiare da tempo compromessa quanto ai presupposti minimi di vivibilità".
Per gli Ermellini, dunque, tutto ciò dovrà "formare oggetto di specifica valutazione da parte del giudice del rinvio per apprezzare la sussistenza o meno dei requisiti di applicabilità dell'art. 54 c.p.".