Già destinatario di un provvedimento del Questore di Reggio Calabria con il quale gli era stata negata la licenza di porto di fucile per uso caccia, un uomo si vede revocato anche il porto d'armi per uso sportivo, per via non solo dei suoi comportamenti personali, inidonei ad offrire garanzie sufficienti, ma anche di quelli dei propri familiari, considerati non proprio al di sopra di ogni sospetto.
A motivare il provvedimento del prefetto, infatti, i rapporti di parentela del ricorrente "con soggetti per i quali risultano pregiudizi penali relativi a reati specificamente incidenti sulla sicurezza pubblica", indice di "un contesto familiare che incide sulla completa e perfetta affidabilità del soggetto", non potendo escludere che le armi "possano entrare nella materiale disponibilità di persone socialmente pericolose ed usate per fini illeciti".
In subordine, il prefetto ha tenuto conto anche di una vicenda penale concernente l'interessato che, pur conclusa con un decreto di archiviazione, "non ha dichiarato l'estraneità del soggetto ai fatti stessi" facendo permanere la potestà di valutare la sua affidabilità.
Contro la decisione del prefetto, l'uomo presentava ricorso al Tar e vedendo rigettate le proprie istanze, proponeva appello al Consiglio di Stato. Ma anche il giudice amministrativo avallava la decisione originaria.
Nella sentenza n. 5039 depositata dalla terza sezione il 10 ottobre scorso, il CdS ha condiviso apertamente la statuizione del prefetto, affermando che "la funzione propria ed istituzionale dei provvedimenti dell'autorità di p.s. in materia di porto d'armi non è quella di sanzionare condotte illecite, bensì quella di prevenire i sinistri (non necessariamente intenzionali e non necessariamente imputabili al soggetto interessato) che possono derivare dalla disponibilità di armi da parte dei privati".
Pertanto, secondo il Consiglio, pur essendo conferita dalla legge all'autorità di p.s. una discrezionalità molto ampia, il sindacato giurisdizionale interviene in modo penetrante "ove i provvedimenti emessi incidano su interessi primari della persona", ma meno qualora, come nel caso di specie, ad essere colpiti sono "interessi meno rilevanti, come quello all'esercizio di attività - pur indubbiamente lecite - meramente ludiche e sportive".
Su questo assunto, il Consiglio ha respinto l'appello lasciando aperto per il ricorrente lo spiraglio che l'autorità di p.s. possa riesaminare il suo caso, "anche in considerazione del tempo trascorso ed alla luce di eventuali sopravvenienze che permettano, in ipotesi, di valutare più favorevolmente la posizione dell'interessato".