La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni "soggettivamente" inesistenti. Aspetti problematici di acquisizione delle prove nelle frodi carosello.
Giovanni Tringali - Forze dell'ordine - Provincia di Gorizia
1. Premessa
Si cercherà di capire quali possano essere le strategie investigative dell'Amministrazione finanziaria o della Polizia Giudiziaria volte a provare nel giudizio penale il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti. Quali indizi e fonti di prova necessitano al fine di dimostrare il reato di cui trattasi.
2. La norma
DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74 - Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205.
Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria
.3. Bene giuridico protetto
Interesse patrimoniale dell'Erario alla corretta percezione del tributo.[1]
4. Soggetto attivo
E' il titolare dell'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi o ai fini dell'IVA. Pacifico che vi rientri anche la persona fisica non tenuta ad obblighi contabili. Giurisprudenza e dottrina concordano nel ritenerlo un reato "proprio", di conseguenza, per essere configurato, richiede nel suo autore una particolare posizione soggettiva, giuridica o di fatto.[2]
5. Elemento soggettivo
Dolo specifico, consistente nel fine di evadere le imposte. Si tratta di un reato di pericolo concreto. Se la condotta è volta ad altri fini, pur mettendo in pericolo il bene tutelato, diviene irrilevante per l'ordinamento penal-tributario.
6. Elemento oggettivo
a. La condotta ha una struttura articolata in due fasi:
1) in primo luogo, vi è la condotta prodromica di tenuta delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti, mediante la loro registrazione e/o detenzione a fini probatori nei confronti dell'Erario.
2) successivamente, vi è il concreto utilizzo di tali documenti mediante indicazione, in una delle previste dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dei redditi o IVA, di elementi passivi fittizi o di attivi inferiori a quelli reali. Il delitto, di tipo commissivo plurimo e di mera condotta, ha natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale. Se la dichiarazione fraudolenta è presentata da una società, per il reato risponde chi l'ha sottoscritta.
b. L'evento è l'effetto naturale della condotta umana rilevante per il diritto. Esso, non sempre è necessario poiché la legge prevede anche reati privi di evento. Il reato di cui trattiamo è, per l'appunto, di mera condotta, non occorre che si verifichi la diminuzione patrimoniale a danno dell'Erario.
c. Affinché sussista il rapporto di causalità (art. 40 c.p.), è necessario che la condotta abbia determinato l'evento: trattandosi, come detto sopra, di reato di mera condotta, risulta inutile indagare circa la sussistenza di tale rapporto.
7. Tentativo
Escluso esplicitamente dall'art 6 del D.Lgs. 74/2000.
8. Procedibilità
D'ufficio.
9. Competenza
È competente il giudice del luogo di domicilio fiscale del contribuente.
L'art. 18 del D.Lgs. 74/2000, regolamenta la competenza dell'Autorità Giudiziaria per i reati in materia di imposte sui redditi ed IVA sulla base di parametri compositi, diversificati a seconda delle concrete circostanze, solo in parte aderenti alle generali previsioni del codice penale, secondo quanto riportato nella seguente tabella:
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Criterio generale | Luogo in cui il reato è stato |
Criterio da utilizzare quando non sia possibile determinare il luogo di consumazione del reato | Luogo in cui il reato è stato |
Criterio speciale per i delitti in tema di dichiarazione (artt. 2, 3, 4 e 5 D.Lgs. 74/2000) | Luogo di domicilio fiscale del |
Criterio speciale per i delitti in tema di dichiarazione, quando il domicilio fiscale del contribuente è all'estero | Luogo di accertamento del reato |
Criterio speciale per il caso di emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti da parte dello stesso soggetto nel medesimo periodo d'imposta, in luoghi rientranti in circondari giudiziari diversi | Luogo in cui ha sede l'Ufficio del Pubblico Ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. |
La corte di Cassazione (sent. 20504/2014) ha affermato che, ai fini della individuazione del domicilio fiscale ai sensi dell'articolo 18 del D.lgs. 74/2000, occorre avere riguardo, nel caso in cui sia stata stabilita una sede legale fittizia, alla "sede effettiva" della società, individuandosi in essa il domicilio fiscale e, dunque, il luogo di consumazione dei reati tributari in materia di dichiarazione.
10. Sanzioni
Da un anno e sei mesi a sei anni.
11. Prescrizione
Per effetto della legge 148/2011 i nuovi termini di prescrizione per i reati tributari sono aumentati. Per quanto concerne tutti i reati relativi a dichiarazioni fraudolente ottenute con fatture false o false movimentazioni, omesse dichiarazioni, occultamento di scritture contabili, e tutti gli altri reati previsti dagli articoli 2, 3, 4 , 5, 6, 7, 8, 9, e 10 del D.Lgs. 74/2000, i termini ordinari sono aumentati di 1/3 ovvero da 6 anni si passa ad 8 anni.
12. Ratio Legis
Superata la strategia fondata sul modello dei cosiddetti "reati prodromici", costituiti da fattispecie criminose volte a colpire non l'effettiva lesione degli interessi erariali, bensì i comportamenti tenuti a monte dai contribuenti, astrattamente idonei per realizzare una successiva evasione.
Introdotto un sistema formato da un ristretto numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, tutte caratterizzate da dolo specifico finalizzato ad evadere le imposte, che limitano la repressione penale ai soli comportamenti direttamente correlati ad un effettivo danno agli interessi dell'Erario.
13. Riferimenti normativi
· D.lgs. 10 marzo 2000 n. 74;
· Circ. 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza;
· Circ. 114000 del 14 aprile 2000 del Comando Generale della Guardia di Finanza;
· Circ. 154/E del 04 agosto 2000 del Ministero delle Finanze.
14. Definizioni
Per operazioni inesistenti si intendono:
· operazioni oggettivamente inesistenti in quanto mai effettuate, totalmente o parzialmente;
· sovrafatturazioni consistenti nell'aumento fittizio di passività in parte esistenti;
· operazioni soggettivamente inesistenti in quanto concluse fra soggetti in tutto o in parte diversi da quelli che le hanno poste in essere.
Per altri documenti si intendono:
- ricevute
- note
- conti
- parcelle
- contratti
- documenti di trasporto
- note di addebito e di accredito
che abbiano ad oggetto operazioni mai avvenute dal punto di vista materiale, e quindi esistenti solo sulla carta ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.[3]
Per elementi passivi fittizi, a livello penale, si intendono non solo i casi di fittizietà "materiale", ma anche le ipotesi di fittizietà "fiscale", ossia quelle ipotesi in cui non siano state osservate le norme in tema di deducibilità degli elementi negativi di reddito. Rientrano, quindi, le componenti negative "non vere", "non inerenti", "non spettanti" o "insussistenti" nella realtà, che risultino dichiarate in misura superiore a quella effettivamente sostenuta o ammissibile in dichiarazione (vgs. Circ. GdF 114000 del 14.4.2000 - Circ. Min. 154E/2000).
Pertanto, vi è l'obbligo di comunicazione all'A.G. anche qualora la fraudolenza o l'infedeltà della dichiarazione riguardi anche o solo questo genere di componenti.
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15. Approfondimenti
Le prove del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni "soggettivamente" inesistenti.
Le operazioni inesistenti dal punto di vista soggettivo sono le operazioni di acquisto/vendita o di prestazioni di servizi concluse fra soggetti in tutto in parte di versi da quelli che le hanno poste in essere.
Occorre partire ricordando che il reato è doloso. L'articolo 43 comma 1 del c.p. ci indica che il delitto è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. I due elementi che fondano il dolo sono la previsione e la volontà. La previsione è coscienza e consapevolezza. La volontà è forza psichica che si innesta sui decorsi causali, portandoli avanti. L'oggetto del dolo è il fatto tipico, cioè tutto ciò che è inserito nella fattispecie tipica.
Qui, a ben vedere, siamo in presenza di un reato di mera condotta che non necessita quindi della realizzazione dell'evento consistente nella diminuzione patrimoniale a danno dell'Erario.
La nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone l'effettiva acquisizione di beni o servizi da parte del destinatario, anche se materialmente le prestazioni sono state poste in essere da altri soggetti.
Sul piano strettamente fiscale, il destinatario non ha il diritto di detrarre l'Iva soltanto se ha partecipato alla frode o se comunque ne era consapevole: gli basta dimostrare la propria buona fede per avere diritto alla detrazione dell'Iva applicata sulle fatture soggettivamente inesistenti.
Ma sul piano strettamente penale? E' sufficiente, affinché sia esente da responsabilità, che egli dimostri di non essersi reso conto di aver effettuato un'operazione economica rapportandosi con un soggetto diverso da quello che lui credeva che fosse? Per capirci, facciamo l'esempio delle frodi carosello dove sinteticamente abbiamo:
a. Una società cedente appartenente ad un paese U.E. diverso da quello in cui avviene la frode. La società, creata appositamente per l'operazione, può effettuare operazioni di acquisto e vendita intracomunitarie, totalmente neutri da IVA.
b. Una società interposta, denominata "cartiera" che acquista il bene (essendo acquisto intracomunitario non versa ‘IVA al fornitore comunitario) e lo rivende immediatamente. Il suo unico scopo è creare fatture per operazioni inesistenti. La titolarità di queste società viene spesso affidata a soggetti prestanome e nullatenenti.
c. Una società beneficiaria, che acquista dalla cartiera il bene gravato di IVA e matura il diritto a detrarre l'IVA versata (c.d. soggetto interponente).
Le fatture, per quanto false, sottendono ad uno scambio reale di merci, non provenienti dall'interposto ma direttamente dal fornitore di questo all'interponente.
Potrebbe darsi il caso che il nostro soggetto, (reale compratore nazionale che, giuridicamente obbligato, presenta la dichiarazione dei redditi avvalendosi delle fatture emesse dalla cartiera) non sia a conoscenza che le fatture da lui registrate in contabilità provengano, in realtà, da una società fittizia. Mancherebbe la consapevolezza, ossia uno degli elementi essenziali che costituisce la "previsione" nel dolo.
In questo caso potrebbe essere utile verificare:
• se la merce è transitata direttamente dal fornitore comunitario al soggetto interponente;
• se i pagamenti sono stati effettuati direttamente dall'interponente al fornitore comunitario;
• se il soggetto residente interposto, che acquista cartolarmente la merce senza averne mai la materiale disponibilità, ha una funzione di prestanome e di filtro nell'operazione la quale si conclude con il mancato versamento dell'IVA da parte dell'interposto e con la detrazione da parte dell'interponente.
Vigendo il principio di autonomia tra funzioni di polizia tributaria e funzioni di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 20 del D.lgs. 74/2000, il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione.
Per altro verso, gli artt. 3 e 479 c.p.p. non prevedono quale cause di sospensione del processo penale la pendenza del processo tributario.
Il transito degli elementi probatori dall'attività ispettiva fiscale al procedimento penale impone il puntuale rispetto degli:
• obblighi di tempestiva informazione dell'A.G.
• adempimenti finalizzati all'esercizio dei diritti di difesa
pena l'inutilizzabilità degli elementi probatori nel procedimento penale.[4]
L'emersione di indizi di reato determina:
• garanzie difensive previste dal c.p.p. (es. assistenza del legale)
• forme e documentazione proprie del c.p.p
• adempimenti indicati nell'art. 55 c.p.p. (anche dopo la c.n.r.)
pena l'illegittimità dell'attività istruttoria (fatte salve, ovviamente, tutte le attività di natura amministrativa espletate prima dell'emersione degli indizi di reato).
In merito alla utilizzabilità del processo verbale di constatazione nel procedimento penale occorre tenere a mente la netta separazione tra la fase delle indagini preliminari e quella dibattimentale caratterizzata dall'oralità, con la formazione di due fascicoli (art. 373, comma 5 c.p.p. fascicolo del PM) (art. 431 c.p.p. fascicolo del dibattimento). Il processo verbale di constatazione non può assumere la veste di atto ‘'non ripetibile', salvo per quelle parti che documentino situazioni modificabili (es. consistenza di magazzino).
Il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o dai funzionari degli uffici finanziari, rientra nella categoria dei documenti extraprocessuali ricognitivi di natura amministrativa (art. 234 c.p.p). Non è, dunque, da considerare un "atto processuale", poiché non previsto dal codice di rito o dalle nome di attuazione (articolo 207) né può essere qualificato quale particolare modalità di inoltro della notizia di reato (articolo 221 disp. att.). Certo è che la complessità della materia tributaria rende il processo verbale di constatazione uno strumento cui non è facile rinunciare in favore di una prova esclusivamente orale da formarsi nel corso del dibattimento.
Come ben illustrato nella Circ. 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, «il giudice penale è tenuto a valutare la rilevanza delle prove addotte, anche di carattere indiziario, in maniera del tutto "autonoma", percorrendo tutto il procedimento logico e argomentativo necessario per stabilire se uno o più elementi abbiano o meno la capacità di dimostrare la sussistenza di un fatto costituente reato e la sua effettiva riferibilità al presunto responsabile; in questa valutazione delle prove, che deve avvenire in maniera del tutto indipendente e senza alcun condizionamento rispetto alle conclusioni cui è pervenuta l'azione amministrativa di controllo e/o di accertamento, il giudice ha solo l'obbligo di dare conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, enunciato al comma 1 del citato art. 192 c.p.p. e meglio specificato nell'art. 546 c.p.p. ».
Valenza penale delle "presunzioni fiscali"
A livello fiscale è consentito ricostruire la base imponibile, in presenza di certi presupposti, anche ricorrendo a presunzioni:
• presunzioni legali (se individuate direttamente dalla legge es. indagini finanziarie);
• presunzioni semplici (gravi, precise e concordanti es. presenza in magazzino di materiale in misura superiore rispetto alle fatture);
• presunzioni semplicissime (non gravi, precise e concordanti, utilizzabili qualora si adotti il metodo induttivo puro - c.d. extracontabile).
Nel processo penale-tributario può fare ingresso qualsiasi genere di presunzione fiscale, in base al libero convincimento del giudice e nel rispetto degli obblighi di motivazione della sentenza.[5]
L'onere della prova
C'è da chiedersi, a questo punto, se spetti al contribuente dimostrare di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse tra il reale cedente e il fatturante in ordine al bene ceduto e di non aver capito né potuto capire il carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti nell'operazione. Secondo la recente giurisprudenza della Corte di giustizia europea (sentenze C-80/11 e C-142/11), spetta sempre all'Amministrazione finanziaria che contesta la detrazione dell'Iva provare la malafede o la consapevolezza della frode da parte dell'acquirente perché non è possibile richiedere particolari incombenze a chi ha detratto l'imposta. [6]
La Cassazione nella sentenza n. 4609 del 26.02.2014 ha rilevato che: «la prova, fornita dall'Amministrazione, che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, per la sua pregnanza dimostrativa, idoneo elemento sintomatico dell'assenza di "buona fede" del contribuente. L'immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore - fatturante - cessionario o committente) induce, invero, ragionevolmente ad escludere in via presuntiva - a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell'attività economica - l'ignoranza incolpevole del cessionario o committente circa l'avvenuto versamento dell'IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all'obbligo del pagamento dell'imposta. In tal caso, sarà - di conseguenza - il contribuente a dover provare, in applicazione di principi ordinari sull'onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell'IVA versata» (dello stesso avviso Cass. 6229/13).
Ed ancora, «il cessionario, in particolare, ha l'onere di dimostrare almeno, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di "conoscibilità" delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta in occasione dell'operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all'operazione» (Cass. 8132/11, 23074/12).
In sostanza, non si può negare il diritto alla detrazione dell'Iva al soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere, in base all'ordinaria diligenza, che l'operazione interessata si iscriveva in un'evasione commessa dal fornitore o che altra operazione nell'ambito della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell'iva, giacché risulterebbe istituito un sistema di responsabilità oggettiva che andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell'Erario.
In tali casi si ricorre al principio della buona fede e dell'affidamento, escludendo dal coinvolgimento il contribuente diligente che non sapeva e non poteva conoscere la natura fraudolenta delle operazioni precedentemente poste in essere dal cedente.
Sembra di poter concludere che l'elemento decisivo per poter sostenere un'accusa di dichiarazione fraudolenta realizzata avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti sia la "consapevolezza" in capo al soggetto attivo (colui che presenta la dichiarazione dei redditi o ai fini IVA) dell'esistenza della frode e quindi della falsità delle fatture.
Sul punto, va richiamata la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione che, uniformandosi agli orientamenti della Corte di Giustizia UE, considera correttamente la consapevolezza, non come elemento psicologico del reato commesso dal contribuente, ma come una "idoneità" a conoscere l'illiceità delle operazioni poste in essere da altri soggetti.
Mettiamoci però - una volta tanto - nei panni del povero giudice che deve trovare le prove di tale consapevolezza.[7]
Gli elementi indiziari - che valgono anche in materia fiscale - da valutare al fine di sostenere la sussistenza del reato potrebbero essere:
• frode realizzata in un settore economico caratterizzato da merci ad alto costo unitario e facilmente trasportabili, come ad es. i prodotti dell'alta tecnologia come i computer, telefoni cellulari o in genere i componenti informatici;
• i sistemi di frode desunti da una esposizione dettagliata nel processo verbale di constatazione;
• l'aumento vertiginoso ed improvviso degli affari del cessionario in breve tempo;
• i precedenti, più o meno notori, di frode fiscale della società fatturante;
• successione rapida nel ruolo di rappresentanza legale della società di più soggetti con precedenti fiscali e penali specifici
• massiccia presenza di aziende cartiere tra i fornitori diretti del cessionario;
• i precedenti fiscali/penali specifici del soggetto cessionario ossia se già coinvolto nell'ambito di altre frodi carosello, sia come emittente sia come utilizzatore di fatture o altri documenti;
• il prezzo di acquisto da parte del soggetto interponente (di solito decisamente vantaggioso) ovvero se l'acquisto si è realizzato a costi inferiori rispetto a quelli che avrebbe sostenuto se l'acquisto fosse fatto direttamente dall'operatore comunitario;
• notizie fornite da dipendenti o altre persone informate sui fatti che avvalorino il sistema di frode;
• il trattarsi di imprese di recente costituzione (con riferimento al periodo di fatturazione) ovvero in precedenza non operative;
• varie modifiche alla sede legale o al domicilio fiscale del contribuente, ovvero stabilimento delle stesse presso abitazioni private di soggetti con precedenti fiscali e penali;
• il trattarsi di società di capitali con connessa limitazione della responsabilità sulle obbligazioni e dove il capitale non supera i limiti minimi per l'operatività;
• assenza di dichiarazioni fiscali da parte della società cartiera (sia per quanto riguarda l'Iva che per le imposte dirette);
• assenza di versamenti d'imposta da parte della società cartiera;
• stato di irreperibilità della società cartiera presso la sede legale dichiarata dalla stessa;
• mancato rinvenimento di merci in giacenza in occasione di controlli nei magazzini (sempre che questi esistano) della società cartiera;
• predisposizione e realizzazione delle fatture che avviene in locali occulti o comunque non dichiarati all'Amministrazione finanziaria e/o alla Camera di Commercio;
• coinvolgimento di amministratori già denunciati all'A.G. competente in quanto parte attiva, anche nel contesto di altre società, del sodalizio criminoso delle c.d. frodi carosello;
• omessa presentazione, a seguito di inviti a comparire debitamente notificati, del legale rappresentante della società cartiera;
• dichiarazioni rilasciate dall'amministratore di fatto della società cartiera;
• ingenti acquisti di merce e per importi consistenti da parte del soggetto interponente nazionale (operatore effettivo), già nell'anno di costituzione della società, dal soggetto interposto c.d. missing trader;
• qualità di fornitore esclusivo, o quasi, del soggetto interponente nei confronti del cessionario finale;
• rapporti del soggetto interponente con altri fornitori nazionali già oggetto di verifica da parte dell'Amministrazione finanziaria e qualificati anch'essi come soggetti interposti (missing trader);
• medesimo oggetto dell'attività economica svolta sia dal soggetto interposto sia dal soggetto interponente per cui non si giustifica il ricorso di quest'ultimo alla sua intermediazione nello svolgimento della sua attività commerciale;
• dichiarazioni fornite dal cessionario sul proprio stato soggettivo in ordine all'altruità della fatturazione, l'aver dato cioè riscontri precisi che, però, non possono esaurirsi nell'avvenuta consegna della merce, nell'avvenuto pagamento della stessa nonché dell'IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo (Cass. n. 9138/2010).
Per quanto riguarda la correttezza e la regolarità degli adempimenti contabili del cedente, il mancato pagamento delle imposte o le irregolarità contabili da parte delle società cartiere non dovrebbe essere considerato quale elemento utile ai fini probatori per dimostrare la fittizietà dell'operazione intercorsa con la società acquirente, giacché, in caso contrario, il contribuente cessionario verrebbe gravato da obblighi investigativi fiscali senza avere alcun potere d'indagine e strumenti idonei a tale scopo.
Meri indizi ai fini della sussistenza della fittizietà dell'operazione e della consapevolezza della frode devono essere considerati anche altri elementi, quali la inesistenza di strutture adeguate o la solvibilità del cedente, unitamente all'assenza di dipendenti o la confessione da parte dell'emittente.
Particolare rilevanza assumono invece le dichiarazioni rese da vari soggetti sul coinvolgimento del terzo nelle frodi in fase di verifica della Guardia di Finanza o di altro organo di controllo.
Uno dei pochi elementi giuridicamente certi in tale contesto è rappresentato dalla antieconomicità (acquisto sottocosto) prevista dall'art. 60 bis, D.P.R. n. 600/1973 che, oltre ad avallare la consapevolezza del cessionario (Cass. n. 867/2001) attraverso "presunzione legale relativa", inverte l'onere della prova su tale ultimo soggetto passivo il quale dovrà dimostrare l'estraneità alla frode carosello, provando che i prezzi indicati a corrispettivo delle cessioni effettuate nei suoi confronti non erano inferiori al valore normale di mercato.
In ogni caso, è possibile ritenere che le presunzioni legali stabilite dagli artt. 60 bis[8] del D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 e 14, comma 4 bis[9] della legge 24 dicembre 1993, n. 537, da sole non possono essere considerate sufficienti ai fini della dimostrazione del coinvolgimento di soggetti terzi nelle frodi carosello ovvero della loro consapevolezza. La sussistenza dei requisiti dell'antieconomicità o dell'illiceità dell'operazione contemplati da tali norme, rappresentano ai fini probatori soltanto dei meri indizi.
Per completezza, ricordiamo che il D.L. 2 marzo 2012, n. 16 va a restringere notevolmente l'area di indeducibilità dei costi da reato, richiamando non più ogni componente negativo di reddito genericamente riconducibile a una condotta penalmente rilevante, ma soltanto i costi e le spese afferenti a beni o servizi direttamente utilizzati per commettere delitti non colposi per i quali sia stata esercitata l'azione penale o, comunque, il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio o la sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Ultime precisazioni
a) giudicato penale
Nel processo tributario vige il principio, ormai consolidato, secondo cui la formazione del giudicato penale non è direttamente invocabile; poggiando i due processi sul sistema probatorio sostanzialmente diverso, occorre valutare, nel quadro indiziario complessivo, la portata del giudicato penale.
Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare.
Il provvedimento di archiviazione di un processo penale non solo non impedisce che lo stesso fatto sia diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile o tributario, ma proprio perché presuppone la mancanza di un processo, comporta che i fatti presi in considerazione in sede penale ai fini del reato di evasione fiscale debbano necessariamente essere autonomamente valutati.
b) giudicato tributario
Per converso, nel giudizio penale è possibile il recepimento dell'accertamento contenuto in una sentenza tributaria irrevocabile, ma deve accompagnarsi a una verifica della compatibilità degli elementi su cui si fonda con le risultanze del processo penale. Pertanto, al giudice penale deve riconoscersi piena autonomia nella valutazione del giudicato "extraprocessuale".
O per meglio dire, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione Finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente.
c) dichiarazioni in sede penale
Le dichiarazioni rese in sede penale da amministratori di società coinvolta nel contenzioso tributario, pur avendo solo portata indiziaria, ben possono assumere efficacia decisiva nel processo tributario, anche se non corroborate da riscontri documentali.
d) inutilizzabilità elementi acquisiti in ambito tributario
Per il procedimento tributario non sussiste la previsione di inutilizzabilità degli elementi acquisiti in sede di verifica, in assenza di autorizzazione dell'autorità giudiziaria, in quanto in tema di IVA, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, per l'utilizzazione a fini tributari e per la trasmissione uffici finanziari di dati, documenti e notizie bancari, acquisiti nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria è riferita ad indagini penali in corso, non necessariamente a carico del contribuente sottoposto ad accertamento, ma anche di terzi indagati.
Tale autorizzazione non è diretta a permettere l'accesso della Guardia di finanza ai dati bancari a fini fiscali, ma soltanto a consentire la trasmissione anche agli uffici finanziari di materiale acquisito per fini esclusivamente penali, essendo stata introdotta la detta autorizzazione per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio.
e) prove testimoniali in sede tributaria (verifiche e giudizio)
Nel considerare il rito tributario fondamentalmente scritto, e non orale, il legislatore non ha ritenuto opportuno inserire la prova testimoniale (articolo 7, comma 4, D.lgs. 546/92)[10]; il divieto di tale istituto nel processo tributario è di fatto un divieto di carattere meramente processuale.
Diversamente, invece, dispone l'art. 51, n. 4), D.P.R. n. 633 del 1972, secondo il quale, in corso di verifica, l'Ufficio può invitare qualsiasi soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, documenti e fatture relativi a determinate cessioni di beni o prestazioni di servizi ricevute ed a fornire ogni informazione relativa alle operazioni stesse. Allo stesso modo, l'art. 32, n. 8-bis), del D.P.R. n. 600 del 1973, consente all'Ufficio "di invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire chiarimenti relativi. Da tali norme, quindi, emerge un forte divario tra la fase della verifica e quella del giudizio:
1. I verificatori, durante le verifiche, hanno la possibilità di raccogliere dichiarazioni ovvero informazioni da soggetti terzi, dichiarazioni od informazioni che siano utili all'Amministrazione finanziaria per condurre le proprie indagini tributarie;
2. Durante l'eventuale giudizio, a meno che le dichiarazioni introdotte dall'Amministrazione finanziaria non siano messe in discussione dal contribuente, il giudice non può verificare quanto dichiarato dai soggetti terzi in questione, non essendo appunto ammessa la prova testimoniale nel processo tributario.
Sul punto si segnala la sentenza della Corte costituzionale del 21 gennaio 2000 n. 18 la quale sottolineando la differenza tra testimonianza e dichiarazione di terzo - resa al di fuori e prima del processo - fa discendere la possibilità di utilizzo nel processo delle dichiarazioni eventualmente raccolte dall'Amministrazione Finanziaria. I giudici hanno ritenuto che le dichiarazioni del terzo non possano godere di piena efficacia probatoria, ma meramente indiziaria: possono concorrere a formare il convincimento del giudice ma non sono idonee a costituire, da sole, il suo convincimento.
f) segreto investigativo
Riguardo alla possibilità di far entrare nel processo tributario documenti sottoposti al segreto investigativo, occorre fare riferimento all'art. 63, comma 1, D.P.R 633/72 in tema di Iva e l'art. 33, comma 3, D.P.R. n. 600/73 sulle imposte sui redditi i quali prevedono che la Guardia di Finanza, previa autorizzazione della A.G., anche in deroga al segreto investigativo (art. 329 c.p.p.) possa trasmettere all'Agenzia delle Entrate informazioni, dati e notizie acquisiti nel corso delle indagini, con conseguente possibilità di derogare al segreto istruttorio.
g) intercettazioni
Le intercettazioni sono utilizzabili nel processo tributario, anche se l'art. 270 c.p.p. prevede che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Tale limite di utilizzo si riferisce solamente ad altri procedimenti penali e non può essere esteso al processo tributario, pur potendosi chiedere l'oscuramento di alcuni dati, previa disposizione dell'A.G., a tutela della privacy.
h) utilizzabilità elementi irritualmente acquisiti in sede penale
Il principio di inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita è norma peculiare del procedimento penale e non costituisce, invece, principio generale dell'ordinamento giuridico. Quindi, i dati bancari "irritualmente" acquisiti nell'indagine penale a carico del contribuente o di terzi sono sempre utilizzabili ai fini dell'accertamento fiscale.
Conclusioni
La prova del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti passa per il convincimento del giudice circa la consapevolezza che il reo aveva della frode in atto. Il giudice deve convincersi utilizzando gli elementi indiziari di cui si è cercato di narrare sopra, condannando l'imputato che risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. [11]
Spero sinceramente di non aver aumentato l'incertezza del diritto.
Giovanni Tringali - Forze dell'ordine - Provincia di Gorizia
A Martina
[1] Mentre, oggetto principale di tutela della legge 516/82, era la trasparenza fiscale, intesa come dovere del contribuente di esimersi da qualsiasi attività di ostacolo all'accertamento fiscale.
[2] In linea di principio, il soggetto attivo del reato si identifica con la persona titolare dell'obbligo della dichiarazione. Per suo conto, sempre più frequentemente, presentano la dichiarazione professionisti, rappresentanti volontari, associazioni di categoria, rappresentanti legali dei minorenni e degli altri incapaci. In queste evenienze il soggetto attivo del reato diventa colui che" materialmente agisce e presenta" la dichiarazione in nome altrui, sempreché ciò avvenga per assolvere a un obbligo che gli deriva dall'accettazione di un incarico, dalle mansioni svolte o da un istituto di protezione di incapaci. Per "dichiarazione" si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche.
[3] Art. 1 Definizioni - 1. Ai fini del presente decreto legislativo: a) per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.
[4] Art. 220 disp. di attuazione c.p.p. - «Attività ispettive e di vigilanza».
Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice.
[5] Art. 192. C.p.p. - «Valutazione della prova».
1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.
2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.
[6] Sent. C-80/11 e C-142/11 -
n. 61 Tuttavia, l'amministrazione fiscale non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto alla detrazione dell'IVA, da un lato- al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasione a livello degli operatori a monte- verifichi che l'emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l'esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'IVA, o, dall'altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo.
n. 62 Spetta infatti, in linea di principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di IVA nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni.
[7] Art. 546. C.p.p. «Requisiti della sentenza».
1. La sentenza contiene:
e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie;
[8] D.P.R. 26 ottobre 1972 n.. 633 - «Art. 60-bis. Solidarietà nel pagamento dell'imposta».
2. In caso di mancato versamento dell'imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta.
[9] D.L. 2 marzo 2012, n. 16 - «Art. 8 Misure di contrasto all'evasione»
1. Il comma 4-bis dell'articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è sostituito dal seguente:
"4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio …omissis
[10] D.lgs. 546/92 «Art. 7 Poteri delle commissioni tributarie».
4. Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale.
[11] Art. 533.C.p.p. «Condanna dell'imputato».
1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza.