di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 22536 del 23 Ottobre 2014.
Occorre fare una netta distinzione tra la figura del licenziamento pretestuoso da quello ingiurioso poiché le conseguenze giuridiche sono diverse.
Nel secondo caso infatti spetta al lavoratore uno specifico risarcimento del danno.
E' quanto afferma la Corte di Cassazione chiarendo che, tuttavia, per integrare licenziamento ingiurioso non è sufficiente che qualsiasi giusta causa si riveli poi insussistente, essendo necessari elementi aggiuntivi ad integrare la fattispecie.
Come si legge nella sentenza dove gli Ermellini si sono occupati del licenziamento di un dirigente "Per dar luogo a un danno risarcibile secondo il diritto comune il licenziamento di un dirigente deve concretarsi - per la forma o per le modalità del suo esercizio e per le conseguenze morali e sociali che ne siano derivate - in un atto ingiurioso, ossia lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore licenziato".
A titolo esemplificativo, è ingiurioso il licenziamento di cui l'azienda dia indebita pubblicità, oppure quello che attribuisca all'interessato condotte che turbano il comune sentire.
La prova del carattere ingiurioso del licenziamento grava su chi lo deduce; in mancanza di tale prova, come nel caso in oggetto, non è possibile che il giudice si pronunci a favore della relativa domanda di risarcimento del danno.
Pretestuosità e ingiuriosità del licenziamento non sono quindi sinonimi, né devono necessariamente coesistere; "l'addebito - per quanto infondato, strumentale e/o pretestuoso - non costituisce fatto di per sé ingiurioso, non potendosi considerare tale ogni ipotizzata giusta causa di recesso rivelatasi, poi, insussistente". Qui di seguito il testo della sentenza.
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