Francesco Meatta - La questione inerente la natura giuridica delle somme liquidate ex art. 16 ter L.82/1991 a titolo di mancato guadagno ai testimoni di giustizia non è ancora giunta dinanzi al Giudice di Legittimità ed è priva di riscontri giurisprudenziali di merito, ad eccezione di una sentenza pronunciata dal Tribunale di Velletri (sent. n.1430/2012).
Per comprendere i risvolti pratici della citata questione, è opportuno muovere proprio dal thema sul quale è stato chiamato a decidere il Tribunale di Velletri con la menzionata sentenza di primo grado.
Il testimone di un grave delitto commesso da appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso, dopo aver denunciato il fatto veniva, unitamente alla moglie ed ai figli minorenni, inserito nello speciale programma di protezione dei testimoni.
La L. 82/1991 prevede in favore dei testimoni di giustizia diverse misure assistenziali sia in costanza di programma di protezione che al momento dell'uscita, allorquando, tra le altre misure, è prevista l'elargizione, ex art. 16 ter, di una somma di denaro a titolo di mancato guadagno derivante dalla cessazione dell'attività propria e dei familiari nella località di provenienza.
Dopo molti anni di vita passata sotto lo speciale programma di protezione, conclusosi il processo contro il "killer" ed i mandanti con severe condanne grazie al contributo offerto dal testimone di giustizia, quest'ultimo insieme alla famiglia esce dal programma di protezione, ed il Ministero dell'Interno dispone, per l'appunto, diverse provvidenze, tra cui l'elargizione ex art.16 ter L.82/1991 di una ingente somma di denaro a titolo di mancato guadagno al testimone di giustizia.
Dopo circa due anni dall'erogazione della suddetta somma e dopo che veniva mutato il regime patrimoniale dei coniugi con la convenzione della separazione dei beni, il marito trasferiva dal conto cointestato con la moglie l'intero importo così elargito su altro conto corrente a lui esclusivamente intestato.
La moglie anche per conto dei figli agiva giudizialmente ottenendo ante causam il sequestro giudiziario delle somme presso la banca e prendeva avvio il giudizio di merito nel quale la moglie domandava l'attribuzione del 50% dell'importo erogato a titolo di mancato guadagno, ed il marito il rigetto della suddetta domanda in quanto a lui esclusivamente spettante.
La domanda della moglie di attribuzione nella misura del 50% della citata somma e la domanda del marito di rigetto erano fondate, per lo più, sullo stesso, speculare, argomento giuridico: ovvero la partecipazione della moglie all'impresa coniugale da un lato, lo svolgimento in via esclusiva da parte del marito dell'attività imprenditoriale senza alcun apporto della moglie.
Il Tribunale di Velletri con la menzionata sentenza accoglieva la domanda della moglie ma sulla base di una diversa argomentazione giuridica. Così testualmente recita la sentenza in commento: "quanto alla somma di €. XXXXXXX liquidata a titolo di mancato guadagno, e dunque in sostituzione dei proventi che avrebbero potuto essere ricavati dalla regolare continuazione dell'attività imprenditoriale avviata ad YYYYYYY, deve rilevarsi che non assume alcun rilievo la circostanza relativa alla partecipazione o meno di (moglie) a tale attività, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 177 comma 1 lett. c) cc. rientrano a far parte della comunione anche i proventi dell'attività separata di ciascun coniuge se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati".
Quindi secondo il Giudicante la questione della spettanza pro quota al 50% dipende dalla caduta delle somme così erogate nella comunione de residuo da ritenersi integrata in quanto "è incontestato che i coniugi abbiano deciso di mutare il regime patrimoniale familiare, sciogliendo la comunione legale, subito dopo aver incassato dette somme, che quindi, al momento dello scioglimento della comunione erano ancora depositate in banca".
In effetti, l'argomentazione del Giudice del merito è del tutto lineare se non fosse che avrebbe richiesto un maggior grado di approfondimento avendo, completamente, omesso di prendere posizione sulla natura giuridica del titolo dell'elargizione ex art. 16 ter L.82/91.
Si tratta di un passaggio di non poco conto che sconta l'assenza di precisi approfondimenti dottrinari e di precedenti giurisprudenziali diretti.
In tanto, infatti, è possibile ricondurre nella comunione de residuo le somme erogate ex art. 16 ter L. 82/1991 in quanto si escluda che il titolo della loro attribuzione abbia natura risarcitoria e abbia quale unico beneficiario colui che svolgeva l'attività economica e che, in forza del programma di protezione, ha subito un danno dall'impossibilità di continuare nello svolgimento della citata attività, dovendosi, altrimenti, ritenere integrata la diversa fattispecie di cui all'art. 179 lett. e c.c.. Aderendo a questa interpretazione, da taluni offerta, le somme elargite ex art. 16 ter L.82/1991 si configurerebbero, pertanto, quale bene personale avente "funzione reintegratoria o riparatoria" del danno subito da colui che, durante il programma di protezione, ha dovuto interrompere la propria attività di impresa. Alla stregua di questa interpretazione la sentenza del giudice di primo grado andrebbe severamente censurata considerato che, in assenza di elementi di prova circa lo svolgimento dell'attività di impresa anche da parte della moglie, il solo testimone di giustizia avrebbe dovuto essere considerato quale destinatario delle suddette somme.
Questa seconda ricostruzione del titolo dell'attribuzione ex art 16 ter L.82/1991 delle somme erogate per mancato guadagno tuttavia non appare, ad avviso di chi scrive, convincente.
Il regime dei benefici economici previsto dall'art. 16 ter L.82/1991 ruota, infatti, intorno alla categoria giuridica - economica e sociale del "tenore di vita personale e familiare".
Come evidenziato anche nella relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata ( relazione del 19.02.2008) le misure assistenziali di cui alle lettere b), c), d), e), f) dell'articolo 16 ter L.82/1991 adottate a favore del testimone di giustizia sono volte a garantire il mantenimento di un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello precedente alla scelta collaborativa .
D'altro canto, l'inserimento nel programma di protezione del testimone di giustizia e della sua famiglia è evidente che determina un decremento del tenore di vita personale e familiare di valore figurativamente corrispondente alla somma erogata a titolo di mancato guadagno.
Sotto questo profilo, quindi, ben poco rileva che l'attività di impresa, prima dell'ingresso nel programma di protezione, fosse svolta dal solo testimone di giustizia. Anzi questo elemento si traduce nel dato storico per cui, prima del programma di protezione, la famiglia del testimone di giustizia viveva solo dei proventi dell'attività separata dello stesso.
Pertanto, una volta stimati e quantificati in termini monetari, nella somma X, i proventi che il testimone di giustizia avrebbe potuto produrre per il periodo corrispondente al programma di protezione, se ne deve dedurre con tutta evidenza che con l'ingresso nel programma di protezione l'intero nucleo familiare ha visto drasticamente ridursi il proprio tenore di vita per un valore, nel tempo, corrispondente alla citata somma X.
Ed infatti la ratio della normativa in materia di testimoni di giustizia, sul punto riguardante il regime dei benefici economici, è quella di sollevare dai disagi derivanti dall'ingresso nel programma di protezione non solo colui che assume il ruolo di "testimone di giustizia" ma anche i suoi familiari. E' in quest'ottica che trova ragion d'essere il citato art. 16 ter L. 82/1991 laddove finalizza le misure di assistenziali a garantire ai destinatari delle misure di protezione un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello esistente prima dell'avvio del programma. Tra le misure assistenziali rientra anche l'elargizione, ex art. 16 ter lettera d) L.82/1991 a titolo di mancato guadagno derivante dalla cessazione dell'attività propria e dei familiari nella località di provenienza. La stessa "Relazione sui testimoni di giustizia" della Commissione Parlamentare di Inchiesta citata depone in tal senso, laddove sancisce che "Le misure assistenziali lettere b), c), d), e), e f) dell'art. 16 ter adottate a favore del testimone sono volte a garantire il mantenimento di un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello precedente alla loro scelta collaborativa". Non sfugge, dalla lettura di questo passo della Relazione predetta che la finalità menzionata riguarda tutte le misure assistenziali, ivi inclusa l'elargizione a titolo di mancata guadagno di cui alla lettera d) L.82/1991. Ove ve ne fosse bisogno, in altro passo della citata Relazione si legge: "Tenuto conto che, le misure di assistenza - come previsto dall'articolo 16-ter della legge - devono essere volte a garantire un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello esistente prima dell'ingresso nel programma speciale di protezione, viene ribadita nel Documento l'esigenza di definire compiutamente il concetto espresso dalla locuzione "tenore di vita", in quanto esso rappresenta il punto di riferimento per la determinazione delle misure assistenziali da erogare e, quindi, anche della capitalizzazione". Proseguendo nella disamina di tale Relazione si legge altresì che: "Nel Documento si afferma che è stato ritenuto -seppure in modo non esaustivo- che assumano valore indicativo di un elevato tenore di vita i seguenti elementi:
- disponibilità di aeromobili, imbarcazioni da diporto, cavalli, autoveicoli;
- residenze secondarie in Italia o all'estero;
- numero dei collaboratori familiari, sia a tempo pieno, sia ‘part-time';
- acquisto di gioielli, di pellicce o di beni-rifugio (quadri, preziosi, opere, monete, etc.);
- frequenza di alberghi e ristoranti di lusso" .
Per determinare il tenore di vita, al fine di stabilire se fosse più o meno alto, sono quindi indicativi il possesso di un insieme di beni e servizi, il possesso e l'utilizzo dei quali, senza ombra di dubbio, non potevano che essere garantiti dai proventi dell'attività lavorativa dell'uno o dell'altro coniuge ovvero di entrambi. Sicchè la scelta collaborativa, l'inserimento nel programma di protezione e la conseguenza dei minori introiti (proventi) dell'attività economica svolta antecedentemente, comporta la perdita del tenore di vita cui erano abituati non solo il testimone di giustizia ma tutti i componenti del suo nucleo familiare. E' evidente, quindi, che la somma erogata a titolo di mancato guadagno non si configura come risarcimento danno in senso proprio, ma costituisce una misura assistenziale volta, unitamente alle altre, a garantire, per tutti (testimone e familiari) coloro che sono stati inseriti nel programma di protezione con conseguente trasferimento in località diversa da quella di origine e forzata interruzione dell'attività economica ivi svolta, la possibilità di riacquisire il tenore di vita di cui godevano prima della scelta collaborativa.
E' utile un breve raffronto con le elargizioni previste dalla legge 44/1999 per le vittime di estorsione, le quali, se decidono di denunciare e testimoniare, assumono lo status di testimone di giustizia e possono optare o per le elargizioni previste dalla predetta legge, ovvero per l'erogazione a titolo di mancato guadagno di cui alla L. 82/1991. Il riferimento assume rilievo in considerazione della giurisprudenza, soprattutto amministrativa, che si è sviluppata in materia di elargizioni antiracket, laddove più corposo è stato il contenzioso derivante dalle quantificazioni delle somme da erogare. La tesi, sovente avanzata in sede giudiziaria dai testimoni di giustizia vittime di estorsione, è stata proprio quella della sussistenza in capo allo Stato di un obbligazione risarcitoria in senso tecnico. Ebbene la giurisprudenza formatasi in materia ha decisamente negato siffatta configurazione delle elargizioni in favore dei testimoni di giustizia vittime di estorsione, assumendo, al contrario, che si tratta di un contributo assistenziale a favore di chi è stato leso, con ripercussioni patrimoniali, dall'attività estorsiva illecita di soggetti terzi.
In tal senso, è significativa la sentenza n.627 - 26 gennaio - 8 febbraio 2012 del Tar Campania - Napoli, Sezione V^ - laddove si legge: "Sotto ulteriore profilo si è puntualmente chiarito (T.A.R. Lazio, Roma, I, 9.12.2009, n.12632) che l'art. 1 della Legge n. 44 del 1999 consente ai soggetti danneggiati da attività estorsive di godere di una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito "nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla legge", il che significa che lo Stato non mira a "risarcire" il danno subito dalla vittima di attività estorsive, ma meramente a dare un ristoro a chi ha subito eventi lesivi in conseguenza di attività estorsive; la puntualizzazione è utile per la individuazione della portata della norma che non presuppone responsabilità alcuna in capo allo Stato relativamente ai fatti che hanno determinato la lesione patrimoniale del privato, ma contempla una sorta di contribuzione assistenziale a favore di chi è stato leso, con ripercussioni patrimoniali, dall'attività estorsiva illecita di soggetti terzi (ex plurimis, Cons. Stato, n.7980 del 2006; T.A.R. Sicilia, Catania, n. 1240 del 2008). Merita, altresì, menzione la sentenza n.7980 del 7 Novembre - 27 dicembre 2006 del Consiglio di Stato, sezione 6, laddove si legge: " La tesi dell'interessato non può essere seguita per la semplice ragione che essa prescinde dalla ratio della legge n. 44/1999, la quale intende accordare, in nome di un principio solidaristico enucleabile dalla nostra Carta Costituzionale, "un contributo" alle vittime di attività estorsive, e offre una lettura non condivisibile di questa legge che manifesterebbe in modo evidente "l'incapacità dello Stato di prevenire e di contrastare efficacemente siffatto fenomeno criminoso", finendo così per considerare lo Stato stesso quale responsabile della "attività estorsiva", di cui egli è stato vittima. Questo salto da una scelta solidaristica al riconoscimento della diretta responsabilità dello Stato, che l'istante compie, ha l'evidente finalità di contrastare l'argomentazione, correttamente enunciata dal primo giudice, del carattere meramente indennitario della elargizione dello Stato a favore delle vittime di attività estorsive, la quale argomentazione è risolutiva al fine di disattendere una tesi che muove dall'erroneo presupposto che, nella specie, si versi in materia di risarcimento di un danno, come se questo fosse imputabile all'azione diretta dello Stato, il che, in ipotesi, avrebbe potuto giustificare la richiesta di liquidazione anche del danno c.d. esistenziale (sul carattere di indennizzo, e non di risarcimento, della elargizione a favore delle vittime, si veda Cass. Civ. SS.UU., 3 febbario 1998, n. 1098). Ma, la dizione della legge n. 44/1999 (artt. 1, 3 e 10) è chiara nel considerare l'elargizione quale "contributo al ristoro del danno patrimoniale", specificando che, "nel caso di morte o di danno conseguente a lesioni personali, ovvero a intimidazione anche ambientale", il danno è liquidato "sulla base del mancato guadagno inerente alla attività esercitata dalla vittima".
La giurisprudenza citata chiarisce puntualmente che l'elargizione ex legge 44/1999, alternativa all'erogazione a titolo di mancato guadagno, non configura una fattispecie di risarcimento danno, ma un contributo assistenziale alle vittime di attività estorsive dovuto in ragione di un principio solidaristico enucleabile dalla Costituzione. A fortiori, stante la citata ratio della L.82/1991, tanto più deve negarsi tale natura risarcitoria all'erogazione corrisposta a titolo di mancato guadagno per i testimoni di giustizia che non sono state neanche vittime di attività estorsiva, essendo la stessa finalizzata a ricostituire, attraverso la corresponsione dei proventi che sarebbero stati prodotti, nel corso degli anni passati sotto programma di protezione, ove fosse stato possibile continuare a svolgere l'attività economica antecedente alla scelta collaborativa, il tenore di vita personale e familiare goduto prima dell'inserimento nel programma di protezione. Si tratta, pertanto, di una misura avente natura di contributo assistenziale, che per ragioni solidaristiche che trovano la loro fonte nei valori enucleabili dalla Carta Costituzionale, viene corrisposto per consentire alla famiglia inclusa nel programma di protezione di riacquisire quel tenore di vita di cui godeva prima della scelta collaborativa del testimone di giustizia. Si tratta di un contributo assistenziale avente natura indennitaria e diretto a far riacquisire non solo al testimone di giustizia ma anche ai familiari con lui inseriti nel programma di protezione lo stesso tenore di vita, nell'accezione ampia di cui sopra, del quale godevano prima dell'avvio del programma di protezione. Non vi è alcun obbligo risarcitorio in capo allo Stato, il quale per ragioni solidaristiche si impegna invece ha tenere indenne l'intero nucleo familiare per i disagi vissuti negli anni del programma di protezione.
Si tratta del resto di uno schema che non è affatto nuovo al nostro ordinamento giuridico, come accade, in altra branca del diritto, ad esempio con l'istituto dell'indennità di accompagno che trova il proprio fondamento nei doveri di solidarietà sancito dalla Costituzione. Giova al riguardo richiamare la nota sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione I, n.8758 del 27 aprile 2005, nella quale si affronta la questione giuridica della natura personale ex art. 179 lettera c) cc., ovvero comune delle somme erogate a titolo di indennità di accompagno. Nella suddetta sentenza, l'iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte di Cassazione, per accertare se l'indennità di accompagno sia qualificabile ex art. 179 lett. e) c.c. come bene ottenuto a titolo di risarcimento danni, è incentrato sulla finalità cui l'indennità di accompagno è preordinata. Premesso infatti che non può esservi riconoscimento di indennità di accompagno in assenza di soggetti menomati (secondo requisiti e presupposti stabiliti dalla legge), tuttavia, precisa la Corte di Cassazione, che l'indennità predetta è finalizzata "non già al sostentamento dei soggetti minorati nella loro capacità di lavoro, ma realizza una misura di integrazione e sostegno del nucleo familiare, incoraggiato a farsi carico di tale soggetto, al fine di evitare il ricovero in istituto di cura e di assistenza con conseguente riduzione della relativa spesa sociale". Conclude, coerentemente, la Suprema Corte di Cassazione:"Deriva, da quanto precede, pertanto, che tale indennità non può rientrare, nemmeno in via di interpretazione estensiva o analogica nell'ipotesi dei beni personali dei coniugi in regime di comunione legale dei beni, di cui all'articolo 179, lettera e) Cc laddove si fa riferimento alla pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa, e rientra, invece, nella previsione di cui all'articolo 177, lettera c) stesso codice".
Dunque, mutatis mutandis, premesso che, nel caso di specie, costituisce presupposto per l'erogazione di somme a titolo di mancato guadagno l'effettivo svolgimento, prima dell'inserimento nel programma di protezione, di un attività economica, tuttavia il menzionato contributo indennitario non è finalizzato a risarcire colui che svolgeva l'attività economica per il danno patrimoniale subito, ma realizza, unitamente alle altre misure assistenziali di cui all'art. 16 ter L.82/1991, una misura di integrazione e sostegno dell'intero nucleo familiare inserito nel programma di protezione.
Diversamente ragionando si finirebbe con invertire completamente lo scopo della norma (ratio legis) - contribuire al reinserimento del nucleo familiare nel tessuto economico e sociale facendogli riacquisire il tenore di vita di cui godeva prima della protezione, con il mezzo, qual è, per l'appunto, la citata misura indennitaria, unitamente alle altre.
In questo senso, trova più compiuta elaborazione la tesi sostenuta nella menzionata sentenza secondo cui, nel caso di specie, le somme dovevano ritenersi rientrate nella comunione de residuo e spettanti pro quota al 50% tra marito e moglie.
Francesco Meatta
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