Per anni avevano dichiarato redditi più bassi di quelli reali, ma il fisco li ha beccati, risalendo al vero numero dei clienti attraverso la "conta" dei tovaglioli.
È capitato ai soci di un'impresa di ristorazione di Trento che ricevevano ben 15 avvisi di accertamento dall'amministrazione finanziaria per i maggiori redditi non dichiarati ai fini Irpeg, Irpef e Irap sulla base del numero dei pasti erogati, desumibili dal consumo dei tovaglioli di carta e di stoffa adoperati, maggiore rispetto a quelli risultanti dalle fatture e dalle ricevute fiscali emesse negli anni 1998-2000. Per di più, essendo chiaro che la suddetta differenza numerica non poteva che corrispondere a somministrazioni di pasti erogate senza emissione di ricevute fiscali, l'Agenzia delle entrate recuperava anche l'Iva non versata sulle operazioni.
A nulla sono valse le doglianze dei ristoratori sulla legittimità dell'accertamento induttivo operato dal fisco, nonché sulla congruità delle loro dichiarazioni con i ricavi previsti dagli specifici studi di settore, giacché sia in primo che in secondo grado i giudici tributari dichiaravano corretto il metodo utilizzato, a fronte delle irregolarità contabili riscontrate.
La vicenda approdava, quindi, in Cassazione, la quale confermava la legittimità del "tovagliometro".
Con sentenza n. 20060 del 24 settembre 2014, la S.C. ha infatti osservato che in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti che facciano dubitare della completezza e della fedeltà della contabilità esaminata, "l'accertamento che ricostruisca i ricavi di un'impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati (risultante, per quelli di carta, dalle fatture o ricevute di acquisto, e per quelli di stoffa, dalle ricevute della lavanderia)" è consentito dall'art. 39, co. 1, lett. d) del d.p.r. n. 600/73, poiché costituisce un dato "assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto idoneo, anche di per sè solo, a lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati".
Tuttavia essendo altresì ragionevole che dai calcoli così ottenuti debba sottrarsi la c.d. percentuale di sfrido, ovvero il quantitativo di tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi (pasti dei soci e dei dipendenti, uso da parte dei camerieri, evenienze varie, ecc.), la Corte ha ritenuto corretta la misura del 25% calcolata dai giudici tributari. Né rilevano, al fine di aumentare la percentuale di sfrido, secondo gli Ermellini, gli ulteriori elementi di valutazione esposti dai ricorrenti, circa l'utilizzo dei tovaglioli nelle oliere, nei cestini di pane, o per il consumo di panini e toast. Nè, infine, ha concluso la Cassazione rigettando integralmente il ricorso, può valere ad inficiare la legittimità del metodo utilizzato, la conformità dei ricavi aziendali agli studi di settore in materia, giacchè, a prescindere dalle risultanze degli stessi, in presenza di anomalie gestionali riscontrate tali da "evidenziare che lo stato economico della ditta presenta caratteristiche di stranezza, di singolarità e di contrasto con elementari regole economiche, immediatamente percepibile come inattendibile secondo la comune esperienza", è giustificato il ricorso dell'amministrazione all'accertamento induttivo tramite gli indici parametrici del tovagliometro.
Cassazione Civile, testo sentenza 20060/2014