Avv. Francesco Pandolfi cassazionista
Il Tar Umbria si distingue per il competente tecnicismo trasfuso nella sentenza n. 68/14 del 29.01.2014 in materia di rinnovo di porto d'armi e giudicato amministrativo.
Il Tribunale pone il principio in forza del quale il giudicato non restituisce all'Amministrazione una "facolta' di scelta" incondizionata, ma un potere-dovere di adottare un provvedimento di cura dell'interesse pubblico, che non contrasti o eluda il giudicato stesso; inoltre che pur dovendosi salvaguardare la sfera di autonomia e di responsabilita' dell'Amministrazione, grava su quest'ultima l'obbligo di soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso, nell'ottica di leale ed imparziale esercizio del munus publicum oltre che di buona fede e correttezza.
Espone l'odierno ricorrente, in qualita' di Sovrintendente di Polizia di Stato in servizio presso la Questura di T., di aver ottenuto sin dal 1xxx licenza di porto d'armi per difesa personale, pur essendo comunque abilitato a portare l'arma d'ordinanza anche fuori servizio.
Con decreto prot. n. xxxx la Prefettura ha respinto l'istanza di rinnovo presentata dall'odierno istante, non ritenendo sussistente alcun pericolo attuale.
Il P. ha impugnato il suddetto decreto innanzi al Tar che con sentenza passata in giudicato, in accoglimento del ricorso, ha annullato il decreto e intimato all'Amministrazione di rivalutare l'istanza con la massima sollecitudine ed in conformita' ai criteri conformativi ivi stabiliti; in particolare, l'adito Tribunale ha evidenziato la manifesta illogicita' dell'operato dell'Amministrazione, risultando il ricorrente gia' autorizzato all'utilizzo dell'arma da fuoco in dotazione (pistola Be. cal 9 x 19) e limitando la possibilita' di difesa di un agente della Polizia di Stato.
In dichiarata esecuzione del giudicato, il Dirigente della Prefettura ha però nuovamente negato al ricorrente il rinnovo della licenza di porto di pistola per uso personale, diversa dall'arma di ordinanza, escludendo la sussistenza di rischi di incolumita' attuali tali da giustificare il rilascio della richiesta autorizzazione, stante il trasferimento del P ad incarichi prettamente amministrativi.
L'odierno istante impugna il suddetto provvedimento, deducendo le seguenti censure, cosi' riassumibili:
I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 10 - bis della L.241/90; elusione del giudicato, sviamento di potere: il provvedimento impugnato sarebbe elusivo del giudicato, non limitandosi la sentenza 259/2012 ad annullare il provvedimento per difetto di motivazione, ma sostanzialmente accertando la spettanza del bene della vita ovvero l'interesse del Pa. a poter utilizzare anche arma diversa da quella d'ordinanza e maggiormente adatta alla difesa personale; in particolare, il giudicato avrebbe oramai definitivamente accertato l'attualita' dell'esposizione al pericolo, ragion per cui l'Amministrazione non avrebbe piu' alcuna discrezionalita' al riguardo, dovendo soltanto dare piena attuazione al decisum;
II. Violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del TULPS in combinato disposto con l'art. 3 della L. 241/90 e s.m., del DM 371/94; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e travisamento dei fatti e contraddittorieta': sarebbe del tutto illogico in correlazione al lavoro svolto sino al 2009, ritenere non piu' sussistente l'attualita' del pericolo, in contraddizione con tutti i precedenti provvedimenti autorizzatori rilasciati dal 1992; l'utilizzo di una pistola diversa da quella gia' in dotazione sarebbe funzionale ad una migliore tutela sia per se' che per l'ordine pubblico;
III. Violazione e falsa applicazione dell'art. 73 RD 635/40; eccesso di potere per contraddittorieta' ed ingiustizia sotto altri profili: il ricorrente quale agente di pubblica sicurezza, non dovrebbe nemmeno essere autorizzato, ai sensi dell'art. 42 TULPS, all'utilizzo di arma diversa da quella in dotazione, al pari del resto ai magistrati ed ai vice prefetti.
Si e' costituito il Ministero dell'Interno, chiedendo il rigetto del gravame, evidenziando:
- la generalita' del divieto di porto d'armi, dovendosi limitare il rilascio per difesa personale ai soli casi di effettiva necessita';
- la necessita' di autorizzazione per i Sovrintendenti della Polizia di Stato all'uso di arma diversa da quella d'ordinanza, ai sensi dell'art. 73 del R.D. 635/1940;
- il venir meno, allo stato attuale, di qualsivoglia concreto rischio di esposizione a pericolo, non essendosi peraltro registrato alcun episodio di aggressione alla incolumita' personale del Pa., nemmeno in riferimento alla pregressa attivita' svolta;
- in materia di autorizzazione al rilascio del porto d'armi cosi' come in ipotesi di rinnovo, il Prefetto avrebbe ampia discrezionalita' e non sarebbe tenuto a motivare puntualmente l'eventuale diniego, secondo consolidata giurisprudenza.
Alla camera di consiglio del 2xxxx, con ordinanza e' stata accolta l'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato, attesa pur ad un sommario esame tipico della fase cautelare, la sostanziale violazione dei criteri di cui alla sentenza n. 259/2012, in uno con la intrinseca irragionevolezza, stante la legittimazione del ricorrente all'utilizzo permanente della pistola d'ordinanza anche al di fuori del servizio prestato, unitamente alla "verosimile permanenza di una situazione di pericolo attuale tale da legittimare il porto d'armi per uso personale".
Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 19 dicembre 2013, nella quale la causa e' passata in decisione.
Il ricorso e' fondato e deve essere accolto.
E' materia del contendere la legittimita' del provvedimento con cui la Prefettura in dichiarata ottemperanza alla sentenza emessa dall'adito Tar n. 259/2012, passata in giudicato, ha negato al ricorrente in servizio presso la Questura di T. e adibito a mansioni amministrative, il rinnovo della licenza di porto di pistola per uso personale, diversa dall'arma di ordinanza.
Va evidenziato come con la sentenza n. 259/2012, passata in giudicato, l'adito Tar ha annullato il precedente analogo diniego e intimato all'Amministrazione di rivalutare l'istanza "con la massima sollecitudine" ed in conformita' ai criteri conformativi ivi stabiliti; in particolare, il decisum ha evidenziato la manifesta illogicita' dell'operato dell'Amministrazione, risultando il ricorrente gia' autorizzato all'utilizzo dell'arma da fuoco in dotazione e limitando la possibilita' di difesa di un agente.
Ha altresi' escluso il venir meno di ragioni di pericolo per il solo fatto di essere stato adibito dal 2009 a mansioni amministrative, essendo la possibilita' di essere armato anche fuori dal servizio "fatto intrinsecamente indicativo della sussistenza di condizioni di pericolo insite nella natura stessa della funzione".
Risulta pertanto oramai coperta dal giudicato, come condivisibilmente prospettato dalla difesa del ricorrente, anche la questione circa la mancata corrispondenza tra la cessazione dal servizio effettivo e l'esposizione al pericolo per la propria incolumita', cosi' come deve essere evidenziata la portata sostanziale del giudicato, non limitato al mero annullamento per difetto di motivazione, ma esteso a profili sostanziali della pretesa azionata dal ricorrente.
E'pertanto evidente come il suddetto giudicato non restituisca all'Amministrazione una "facolta' di scelta" incondizionata, ma un potere-dovere di adottare un provvedimento di cura dell'interesse pubblico, che non contrasti o eluda il giudicato; ne deriva che i principi emergenti dalla decisione non possono essere valutati come semplici "obiter dicta", poiche' la loro funzione e' quella di contribuire complessivamente alla concreta individuazione della regola giuridica assunta dalla decisione da eseguire (Consiglio di Stato sez. IV, 22 gennaio 2013, n.369).
Da ultimo, si e' autorevolmente osservato che pur dovendosi salvaguardare la sfera di autonomia e di responsabilita' dell'Amministrazione, grava su quest'ultima l'obbligo di soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso, nell'ottica di leale ed imparziale esercizio del munus publicum (art. 97 Cost. e Convenzione E.D.U.) oltre che di buona fede e correttezza (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria, 15 gennaio 2013, n.2).
Tanto premesso, e' del tutto evidente il contrasto del nuovo provvedimento di rigetto qui impugnato con gli specifici criteri conformativi derivanti dal giudicato, dal momento che l'Amministrazione, a seguito dell'annullamento giurisdizionale, ha nuovamente riproposto il proprio mutato convincimento - in difformita' da quanto ritenuto per un ventennio - circa il venir meno dell'attualita' del pericolo, cosi' alterando l'assetto degli interessi di cui al decisum.
Meritano quindi piena condivisione le doglianze.
Parimenti fondate risultano le censure dedotte con il II motivo.
Ritiene il Collegio che a fronte dell'ormai definitivo accertamento di uno stato di pericolo attuale incombente sulla persona del ricorrente, che comunque lo legittima all'utilizzo permanente della pistola d'ordinanza anche al di fuori del servizio prestato, sia del tutto manifesta l'irragionevolezza dell'impugnato diniego, essendo la fattispecie del tutto differente da quella che si verifica in sede di ordinaria autorizzazione al porto d'armi nei confronti di comuni cittadini, ove vige la regola della eccezionalita' nei confronti di soggetti non abilitati all'uso di armi e per cui la giurisprudenza anche di questo Tribunale ha da sempre evidenziato l'ampia discrezionalita' dell'Autorita' di Pubblica sicurezza.
Del resto trattasi anche in questo caso di affermazioni puntualmente gia' contenute nel primo giudicato di annullamento.
Alla luce delle esposte considerazioni il ricorso e' dunque fondato, con l'effetto di annullare il provvedimento impugnato e conseguente obbligo della Prefettura di procedere al rinnovo del porto d'armi richiesto dal ricorrente, venendosi ad esaurire il potere esercitato con il secondo giudicato di annullamento.
Avv. Francesco Pandolfi
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