Avv. Francesco Pandolfi Cassazione e Magistrature Superiori
Una pregevole sentenza della Corte di Cassazione, la n. 41830/14 del 07.10.2014, nella quale si annulla la sentenza impugnata perché i fatti non costituiscono reato.
Siamo in tema di occupazione abusiva di un alloggio popolare, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni superficiali subìte dal militare operante.
Viene impugnata la sentenza n. 6762/13 con la quale la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali aggravate (articoli 582 e 585 e articolo 576, n. 1 in relazione all'articolo 61 c.p., n. 2) in danno di uno degli agenti procedenti.
La Corte giunge all'annullamento in quanto appura notevoli discordanze nei contenuti del materiale probatorio utilizzato dai Giudici territoriali.
I fatti si sarebbero svolti a xxxx, dove la (OMISSIS) e sua figlia, che avevano con se' due bambini in tenerissima eta', avevano appena occupato abusivamente una casa popolare.
Sul posto erano intervenuti la Polizia locale ed i Carabinieri della stazione territoriale, raggiunti poi da una pattuglia radiomobile degli stessi Carabinieri.
Dopo lunghe insistenze le donne avrebbero accettato di uscire, ma la (OMISSIS), sulla porta di ingresso, si sarebbe aggrappata con una mano allo stipite e con l'altra avrebbe graffiato in volto uno dei militari, che non avrebbe reagito, allontanandosi poi spontaneamente dall'appartamento.
Completamente diversa la versione delle due donne, secondo la quale, in sostanza, la (OMISSIS) era stata trascinata sul pianerottolo e percossa con calci e pugni, dopo che uno degli agenti le aveva strappato il bambino che aveva tra le braccia.
In ospedale, erano state oggetto di referto, riguardo al Carabiniere operante, delle "abrasioni superficiali all'emivolto destro", senza formulazione di prognosi per la guarigione, e per la ricorrente contusioni multiple (guaribili in cinque giorni), comprensive di trauma contusivo all'emitorace destro e perdita di sangue dalla bocca. Le lesioni della (OMISSIS) sono state giustificate dai Giudici di merito in relazione alla presa che gli operanti avrebbero dovuto effettuare per superare le resistenze della donna e portarla fuori dall'appartamento.
Ricorre il Difensore della (OMISSIS), deducendo, in base all'articolo 606 c.p.p. comma 1, lettera b) ed e), violazione dell'articolo 192 c.p.p. e vizio di motivazione.
In relazione all'argomento d'apertura della sentenza d'appello, secondo cui l'aggressivita' delle due donne sarebbe confermata dal fatto che aveva dovuto essere richiesto l'intervento di una pattuglia radiomobile dei Carabinieri nonostante la presenza di quattro agenti ulteriori, il Difensore prospetta travisamento della prova, visto che gli stessi operanti avrebbero concordemente testimoniato come anche la pattuglia avesse risposto alla prima chiamata (dovuta all'allarme lanciato da un inquilino dello stabile), e comunque non avessero prospettato la minima relazione tra l'intervento ed una presunta aggressivita' delle occupanti.
La sentenza impugnata sarebbe illogica perche' stimerebbe credibile che la (OMISSIS), tenendo in braccio un bambino di due anni, avrebbe potuto contemporaneamente aggrapparsi ad uno stipite e graffiare il Carabiniere, che sul punto ed in effetti avrebbe reso dichiarazioni contraddittorie.
Ancora, sarebbe stata data una spiegazione per le contusioni subite dalla donna non sorretta neppure dalle dichiarazioni degli operanti, che avrebbero sostenuto di non averla toccata. Infine, sarebbe stata ingiustificatamente svalutata la deposizione della figlia della ricorrente, valorizzando invece quelle dei colleghi dell'operante, nessuno dei quali per altro avrebbe assistito al fatto nei suo momento qualificante.
Con un secondo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione dell'articolo 582 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto integrato il delitto di lesioni invece di quello di percosse.
I presunti graffi (ai quali nessun cenno si era fatto nei rapporti di polizia, nei quali si parlava di uno schiaffo) sarebbero stati comunque tanto superficiali da non meritare neppure una prognosi medica, e dunque non integrerebbero la nozione giuridica di lesione.
Per l'ipotetico delitto di percosse non avrebbe potuto procedersi in mancanza di querela.
Secondo il vaglio della Corte, il ricorso e' fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata.
Poiche' le fallacie del ragionamento probatorio e della sua esposizione ad opera dei Giudici territoriali dipendono chiaramente da una grave contraddittorieta' delle fonti utili per la ricostruzione dei fatti, contraddizioni che la sentenza impugnata riproduce e non risolve, la Corte stima di non dovere disporre una ripetizione del giudizio, e dunque di annullare senza rinvio la sentenza medesima.
Gli aspetti problematici del processo sono molteplici, e tra questi certamente non manca quello della palese sproporzione tra le lesioni subite dal militare operante (in pratica dei graffi superficiali, per i quali non e' stata neppure formalizzata una prognosi) e quelle riportate dalla (OMISSIS).
Detta sproporzione non rileva in quanto tale, ma per l'obiettiva sua incompatibilita' con le dichiarazioni di alcuni degli agenti intervenuti e per la problematica coerenza rispetto alla ricostruzione dei fatti nel complesso proveniente dai pubblici ufficiali.
Nella prima prospettiva va segnalato come i testi (OMISSIS) e (OMISSIS), appartenenti all'Arma dei Carabinieri, oltre che rendere dichiarazioni non collimanti tra loro, avessero riferito che la (OMISSIS) non sarebbe stata toccata neppure dopo il presunto suo gesto di resistenza e aggressione, cio' che questa Corte apprende dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato e da quella della sentenza di prime cure, integralmente confermata e richiamata.
Tenuto conto che gli agenti di Polizia municipale si erano "chiamati fuori", affermando di essere scesi nel cottile dello stabile prima che si determinasse alcun incidente violento, si imponeva una spiegazione della quantita' e qualita' delle lesioni riportate dall'odierna ricorrente.
La spiegazione e' stata data, in termini e toni diversi, da parte dei Giudici territoriali.
Il Tribunale si e' limitato ad osservare, in termini assai indiretti, che non era credibile la versione difensiva secondo la quale i militari avrebbero aggredito le due donne (che avevano due bambini piccolissimi) senza alcuna ragione, e che dunque vi era stata plausibilmente la necessita' di vincere una resistenza. Il che sarebbe confermato dalla posizione e dal numero delle lesioni riscontrate per la (OMISSIS), piu' compatibili con un'azione diretta a strapparla dallo stipite cui si era aggrappata che con una aggressione "a calci e pugni".
La Corte d'appello, dal canto proprio, ha genericamente giustificato le lesioni quali effetti del ricorso alla forza legittimato dalla condotta di resistenza dell'odierna ricorrente.
I Giudici territoriali non si sono preoccupati, per altro, di confrontare la spiegazione proposta, pure perfettamente concepibile, con le descrizioni che gli stessi operanti avevano dato sul corso degli avvenimenti. (OMISSIS) addirittura aveva detto che era voltato da un'altra parte, quando la (OMISSIS) avrebbe graffiato (OMISSIS), e quindi e' stato presentato come teste de relato. (OMISSIS), come subito si vedra', aveva dato una descrizione del fatto non del tutto convalidata dalla Corte territoriale. L'uno e l'altro teste, comunque, non avevano descritto (ed anzi avevano negato) gli atti di esercizio della forza nel corso dei quali avrebbero procurato lesioni all'odierna ricorrente. I quali atti, dunque, sono stati sostanzialmente oggetto di mera supposizione ad opera dei Giudici del merito.
Ma la Corte territoriale, soprattutto, non ha riscontrato contraddizioni esistenti riguardo alla fase topica della presunta resistenza, ed anche per questa ragione ha finito col prospettare una ricostruzione incoerente del fatto storico.
L'aspetto forse principale si desume dalla stessa sintesi che, nel provvedimento impugnato, si rinviene quanto alle deposizioni dei due Carabinieri piu' direttamente coinvolti negli avvenimenti.
Secondo (OMISSIS), la (OMISSIS) era parsa alla fine accondiscendere alla richiesta di uscire dall'appartamento illegalmente occupato, ma "nell'uscire" aveva afferrato lo stipite della porta d'ingresso con una mano, e con l'altra mano gli aveva dato uno schiaffo, produttivo per altro (non si capisce bene come) dei graffi cui si riferisce l'accusa di lesioni. Il gia' citato (OMISSIS), dal canto proprio, ha negato d'aver "visivamente" assistito al colpo, ma ha detto e ripetuto che la (OMISSIS) aveva preso a divincolarsi "per rientrare in casa".
In questo contesto si colloca il vizio forse piu' evidente della sentenza impugnata, puntualmente evidenziato dal Difensore.
La Corte infatti ha rilevato, implicitamente ammettendo che la (OMISSIS) aveva in braccio il nipotino come da lei stessa sostenuto, che la donna avrebbe ben potuto graffiare il (OMISSIS) con la mano non occupata. Poche righe prima, tuttavia, era stata citata in tono adesivo la deposizione dello stesso (OMISSIS), secondo cui la (OMISSIS) aveva graffiato il militare operante mentre con l'altra mano si teneva aggrappata allo stipite della porta.
Ipotizzare che la donna avesse agito mentre teneva il bambino in braccio equivale a smentire la deposizione della persona offesa, ed a lasciare senza una affidabile fonte diretta di ricostruzione l'intero episodio.
Resterebbe da spiegare, certamente, come il (OMISSIS) piu' volte citato avesse riportato i graffi poi riscontrati in sede ospedaliere, e resta naturalmente l'affermazione "generale" desumibile dalle testimonianze d'accusa, secondo la quale, per un breve momento, la (OMISSIS) aveva opposto resistenza agli operanti.
Non v'e' alcuna ragione per presumere un mendacio ad opera dei testimoni e, in generale, dei pubblici ufficiali. Una tale evenienza potrebbe in ipotesi essere esclusa o confermata solo attraverso una seria e coerente analisi delle risultanze nel contesto del giudizio di merito, analisi che allo stato, per quanto si e' detto, non potrebbe davvero considerarsi compiuta.
Pare pero' certo a questa Corte, sulla base dei dati sopra esposti, che i fatti si fossero svolti in un clima generale di confusione, impegnando pochi attimi lungo il corso di una trattativa prolungata e probabilmente drammatizzata dall'atteggiamento delle due donne, nel corso della quale la "resistenza" opposta alla richiesta di lasciare l'immobile era stata nel complesso immune da atteggiamenti minacciosi o violenti.
E' evidente che la percezione dei fatti era stata parziale, concitata, e che non potrebbe essere esclusa, in un ipotetico giudizio di rinvio, l'eventualita' che l'impatto fisico tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) fosse stato contingente, non concepito ne' voluto dalla donna quale mezzo violento per opporsi all'atto dell'ufficio e per provocare lesioni al suo interlocutore.
L'eventualita', in altre parole, che (OMISSIS) fosse stato colpito involontariamente, in un momento di agitazione segnato da movimenti fisici convulsi, espressione di una resistenza "passiva" e non volontariamente finalizzati in guisa da integrare il dolo tipico dei reati contestati.
Poiche', come detto, le gravi carenze motivazionali del deliberato di condanna non appaiono emendabili, soprattutto con riguardo alla prova dell'elemento soggettivo del reato, dato che riproducono una situazione irrecuperabile di approssimazione ed incoerenza della base cognitiva del giudizio, non resta che disporre l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con formula dei fatti che non costituiscono reato.
Avv. Francesco Pandolfi
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