Il semplice fatto che un medico abbia commesso un errore (nella specie un'errata diagnosi) non può bastare per affermare la sua penale responsabilità per la morte del paziente.
E quanto chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49654/2014 occupandosi del caso di un medico di turno (presso un presidio di pronto soccorso) che non aveva riconosciuto i sintomi di un infarto intestinale in un paziente che nelle ore successive era deceduto.
Pur potendosi in astratto ipotizzare un reato colposo omissivo improprio, il giudizio di responsabilità non può prescindere dall'accertamento del nesso causale e il medico non può essere ritenuto colpevole, se la causa scatenante l'evento morte non sia dipesa direttamente, e senza alcun dubbio in merito, dal suo operato negligente.
Il medico può dunque esimersi da ogni responsabilità se risulta altamente probabile che la morte del paziente si sarebbe verificata comunque anche nel caso di corretta diagnosi preventiva.
Vi sono, infatti, casi in cui l'evento morte non può essere scongiurato da qualsivoglia intervento medico. E per questo la condanna penale vi può essere solo nella ipotesi in cui tra la condotta negligente o imprudente del medico e la morte del paziente vi sia un rapporto causa - effetto per il quale non si possa escludere con elevata probabilità che l'evento dannoso non si sarebbe prodotto.
Come si legge nel testo della sentenza "nonostante la morte del paziente non si può condannare penalmente il medico negligente se anche la giusta diagnosi difficilmente avrebbe salvato il paziente (nel caso di specie si trattava di infarto intestinale, che ha una percentuale di mortalità pari all'83-100% dei casi). L' assoluzione è d'obbligo tutte le volte in cui resta un ragionevole dubbio sul nesso causale fra la condotta l'evento"