Avv. Chiara Muratori
chiaramuratori@yahoo.it
Il Canone 1056 ci dice che le proprietà essenziali del matrimonio sono l'unità e l'indissolubilità. E' con questo canone che si entra nel vivo delle peculiarità del matrimonio canonico in rapporto ad altre tipo logie matrimoniali di tipo occidentale che emergono dai codici e dalle leggi dei vari stati. Se infatti con la definizione del matrimonio come unione per tutta la vita finalizzata al bene dei coniugi ed alla procreazione ed educazione della prole, ci troviamo ancora in una visione che può, in parte, ricavarsi dalle norme di diritto positivo o costituzionale degli altri stati (si pensi all'art. 29 e 30 della Costituzione Italiana e sui diritti e doveri degli sposi e la funzione del matrimonio come base e fondamento della famiglia) con il Canone 1056 si cambia decisamente registro.
Il cambio avviene per le proprietà essenziali senza le quali il matrimonio non può venire in essere, ossia il carattere monogamico ed il carattere di indissolubilità, nonché per il richiamo all'elemento sacramentale.
L'omessa motivazione in ordine alla indissolubilità del matrimonio e l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 2 della L. n. 898 del 1970 in correlazione con gli art. 2,7,19 della Costituzione sono stati oggetto di ricorso per Cassazione avanzato da una moglie fondato su quattro motivi.
Nel primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata per non aver considerato che i coniugi avevano celebrato e voluto un matrimonio indissolubile con la conseguenza che la successiva legge sul divorzio non poteva né doveva interferire con il precedente accordo irrevocabile. Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di violazione di legge per non avere la pronuncia di secondo grado accertato l'effettiva insussistenza della comunione di vita limitandosi al riscontro della condizione temporale. Nel terzo motivo viene prospettata l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della l. n. 898 del 1970 in ordine ai parametri dell'art. 2, 7 e 19 Cost. per essere stato ingiustificatamente compresso il diritto ad esplicare la propria sfera religiosa mediante il canone dell'indissolubilità dei matrimonio nonché per aver violato la sovranità della Chiesa cattolica pure riconosciuta dai Patti Lateranensi e dall'art. 7 della Costituzione ed inoltre per avere ingiustificatamente leso il diritto a professare la propria fede religiosa, dal momento che il matrimonio come sacramento costituisce atto di culto.
Nel quarto motivo viene dedotta la violazione dell'art. 96 cod. proc. civ. per non avere la Corte d'Appello fatto riferimento al parametro della colpa grave necessario per sancire il diritto al risarcimento del danno ex art. 96 essendo stata riconosciuto su tale assunto il pagamento di una somma attesa l'assoluta infondatezza delle questioni proposte e la loro esclusiva funzione di rallentamento della conclusione dei procedimento.
Il ricorso è stato riconosciuto manifestatamente infondato in ordine a tutti i motivi formulati.
A sostegno della decisione assunta è stato affermato che la Corte d'Appello ha ampiamente motivato sostenendo che la convinzione religiosa in ordine alla indissolubilità del matrimonio non riguarda la cessazione degli effetti civili del medesimo.
Il vincolo religioso non è, infatti, messo in discussione cessando solo gli effetti della trascrizione del matrimonio contratto in forma concordataria nei registri dello stato civile. La legge statale non interferisce quindi con il diritto della persona ad appartenere ad una formazione sociale ed avere un credo religioso né in merito alla sovranità della Chiesa che ha la competenza esclusiva solo in tema di matrimonio religioso. Nessun diritto costituzionalmente riconosciuto risulta, quindi, violato. Viene inoltre ribadita la necessità di distinguere il vincolo religioso dagli effetti civili ed in particolare dalla cessazione di questi del matrimonio.
Del resto è pacifica la convinzione che il matrimonio può proseguire fino alla morte di uno dei due coniugi oppure prematuramente, essendo ancora in vita entrambi i coniugi, tramite lo scioglimento per divorzio o, nel caso di matrimoni canonici con effetti civili, tramite la cessazione degli effetti civili secondo quanto previsto dalla legge del 1970 istitutiva del divorzio. Infatti essendo il matrimonio canonico nato in altro ordinamento una legge dello stato non avrebbe avuto il potere di scioglierlo ma, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, ha il potere di far cessare gli effetti civili attribuiti al matrimonio canonico in base all'art. 24 del Concordato del 1929 ed ora sostituito dall'art. 8 del vigente Concordato.
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Vedi anche: Diritto canonico: la nullità del matrimonio concordatario