Un caso di omicidio colposo in cui i sanitari affrontano le accuse perché ritenuti responsabili anche per omesso studio prechirurgico della paziente

Avv. Francesco Pandolfi        Cassazionista      

Con sentenza n. 4058 del 29.01.2014, la Corte di Cassazione sez. 4 penale affronta un caso relativo ad un intervento chirurgico preparato superficialmente e come tale fonte di danni.


In generale, appare evidente che chi esegue un'intervento chirurgico in assenza delle più elementari cautele atte a preservare la salute umana (come per esempio l'omissione nell'esecuzione di uno studio approfondito prima della fase chirurgica vera e propria), si espone alle censure e alle sanzioni conseguenti ad un accertamento giudiziale.


E' quello che si è verificato nella vicenda che qui ci apprestiamo ad analizzare e commentare, un caso di omicidio colposo nel quale i sanitari affrontano le accuse siccome ritenuti responsabili di: 

a) omesso studio prechirurgico della paziente, 

b) perforazione dell'utero, 

c) mancata gestione della fase successiva all'operazione, 

d) mancato allarme dei sanitari di guardia e del personale infermieristico.


In fatto: la corte d'appello di Palermo ha integralmente confermato la sentenza in data 26.10.2011 con la quale il Tribunale ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di un anno di reclusione ciascuno in relazione al reato di omicidio colposo commesso, in violazione delle norme sulla disciplina della professione medica, ai danni di (OMISSIS), in (OMISSIS).

 

In sintesi, gli imputati rispondevano per aver provocato il decesso della paziente per aver proceduto eseguendo un'operazione chirurgica di miomectomia isteroscopica senza provvedere a uno studio prechirurgico della paziente, cagionando alla stessa una perforazione dell'utero e del sigma, poi omettendo un' esame delle strutture anatomiche dell'utero e delle anse intestinali al fine di provvedere alla riparazione di quanto provocato; e per avere inoltre omesso di gestire adeguatamente la fase post-operatoria, trascurando l'analisi dei dati sintomatici obiettivamente rilevabili (marcata oliguria e dolenzie), nonche' di allertare i sanitari di guardia e gli infermieri in servizio, al fine di provvedere a un costante controllo delle condizioni cliniche generali della paziente.

 

Per effetto di tali condotte degli imputati, la paziente era quindi deceduta a seguito di arresto cardiocircolatorio da shock settico.

 

La Corte di Cassazione, cui si sono rivolti gli imputati, ha rigettato il ricorso ritenendo valido il percorso argomentativo dei Giudici di merito. 


Approfondiamo i dettagli della vicenda nel terzo grado di giudizio.

 

I ricorrenti invocano in primo luogo l'annullamento della sentenza impugnata per avere i giudici del merito fondato il proprio convincimento sulla base di elementi probatori radicalmente inutilizzabili ai fini della decisione.

 

Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione della legge sostanziale e processuale in relazione alla ricostruzione del nesso di causalita' tra l'atto medico compiuto dagli imputati e il decesso della paziente, nonche' dell'ascrivibilita' di quest'ultimo alla colpa dei primi.

 

Con particolare riguardo al tema relativo alla causalita' del decesso, i ricorrenti si dolgono che la sentenza impugnata abbia riconosciuto un decisivo valore probatorio al dato costituito dalla sintomatologia dolorosa (registrata in cartella) accusata dalla paziente alcune ore dopo l'intervento; sintomatologia senz'altro ricondotta dalla corte territoriale alle conseguenze della cattiva esecuzione dell'atto operatorio, in contrasto con una pluralita' di indici istruttori (costituiti dal corrispondente tenore di alcune deposizioni testimoniali) dai quali era piuttosto emerso come, nel periodo immediatamente successivo all'intervento, la paziente non avesse avvertito alcun dolore particolarmente significativo, ne' si erano evidenziati segni di una qualche complicanza suscettibile di indurre allarmi di sorta.  


I ricorrenti censurano infine la sentenza impugnata nella parte in cui conferma l'addebito di responsabilita' a carico di (OMISSIS), per aver erroneamente applicato al caso di specie i principi individuati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di responsabilita' da equipes medica; con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla determinazione della pena inflitta agli imputati, con particolare riguardo al rilievo sul punto riconosciuto alla circostanza, ascritta ai ricorrenti, di aver tentato di attribuire alla persona offesa la condotta determinante l'evento mortale, nonche' nella parte in cui ha rilevato la pretesa mancata prova dell'integrale risarcimento del danno nei confronti dei familiari della vittima, in contrasto con le risultanze documentali di segno contrario debitamente acquisite al processo.

 

Il primo motivo di ricorso e' infondato.

 

Rileva il collegio come i ricorrenti, lungi dal provvedere alla specifica indicazione degli atti inutilizzabili in forza dei quali i periti avrebbero impropriamente fondato le proprie conclusioni, si siano limitati a una mera elencazione di temi d'indagine e di questioni di fatto asseritamente compromessi dal contatto con fonti di cognizione probatoriamente non utilizzabili (le problematiche del decorso post-operatorio; i presidi somministrati alla paziente e i controlli cui la stessa fu sottoposta; la natura della strumentazione chirurgica in concreto utilizzata, etc.), senza procedere a un'analitica e particolareggiata disamina delle fonti di cognizione cui i periti avrebbero eventualmente attinto le informazioni successivamente utilizzate ai fini della redazione del proprio elaborato tecnico e dell'offerta conoscitiva posta a disposizione degli organi giudicanti.

 

Il secondo motivo di ricorso, nelle sue diverse articolazioni, deve ritenersi infondato.

 

Rileva il collegio come la corte territoriale abbia ricapitolato le scansioni del decorso causale che condusse al decesso della paziente in termini di adeguata coerenza logica e linearita' argomentativa, avendo proceduto a un'analitica ricostruzione esplicativa dei processi patologici esaminati sulla base di rilievi scientificamente fondati e adeguatamente corroborati attraverso un'esauriente caratterizzazione probatoria della fattispecie concreta.

 

Dal complesso di tali significativi elementi ed indici probatori, la corte ha dunque tratto, oltre ogni ragionevole dubbio, la conclusione dell'elevata probabilita' logica (equiparabile al piu' alto livello di credibilita' razionale) dell'avvenuta perforazione della parete intestinale nel corso dell'operazione oggetto d'esame, con il conseguente innesco del decorso patologico conclusosi con l'arresto cardiocircolatorio e il decesso della vittima: decorso probatoriamente corroborato attraverso il complesso degli indici piu' sopra richiamati, in assenza di alcun elemento di prova contraria idoneo a fondare il ragionevole dubbio circa la possibile incidenza di un plausibile decorso causale alternativo.

 

La corte territoriale ha espressamente sottolineato come la presunta modestia della sintomatologia dolorosa avvertita dalla paziente e la progressiva regressione di tali dati sintomatici fossero state artificialmente provocate dalla somministrazione dell'analgesico (Voltaren) incautamente prescritto da (OMISSIS) alla paziente, con il conseguente mascheramento dei sintomi indispensabili ai fini del possibile rilevamento del grave quadro clinico e dei concreti rischi letali corsi dalla vittima.

 

La corte territoriale ha inoltre correttamente negato alcuna plausibilita' alle prospettate ipotesi causali alternative avanzate dalla difesa, rilevando come nessuna evidenza probatoria avesse riscontrato l'eventuale riconducibilita' della perforazione del tessuto intestinale al preteso sforzo imposto al sigma dalla (OMISSIS), recatasi in bagno la mattina successiva all'intervento; cosi' come nessun riscontro aveva trovato l'ipotesi (rimasta allo stato di una mera congettura) della prospettata riconducibilita' dello shock settico subito dalla vittima alla pretesa incidenza di un'infezione da candida albicans riscontrata nel liquido pleurico della deceduta verosimilmente preesistente all'operazione.

 

In definitiva, tutte le argomentazioni della sentenza d'appello in relazione alla ricostruzione del nesso causale tra il decesso della paziente e la condotta degli imputati devono ritenersi esaurienti, senza vizi logico giuridici.


Avv. Francesco Pandolfi       3286090590

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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