Per richiedere i danni la parte lesa deve potersi avvedere della loro derivazione causale da un fatto colposo del medico piuttosto che da una naturale complicanza o da cause estranee al suo operato

di Paolo M. Storani - Per poter richiedere i danni la parte lesa deve potersi avvedere della loro derivazione causale da un fatto colposo del medico piuttosto che da una naturale complicanza o da cause estranee all'operato dei medici. La recente giurisprudenza (Est. Marco Rossetti) ha ribaltato una doppia reiezione per intervenuta prescrizione (Tribunale di Alba-Bra e Corte d'Appello di Torino), così statuendo in tema di infezione conseguita ad un intervento di protesi d'anca:

«Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione il ricorso è fondato.

La Corte d'appello ha correttamente individuato il principio giuridico alla luce del quale decidere la controversia, e cioè che la prescrizione per i danni lungolatenti decorre dal momento in cui la vittima, con l'uso dell'ordinaria diligenza, possa avvedersi sia dell'esistenza del danno, sia della sua riconducibilità causale al fatto illecito del terzo… Nel passare, tuttavia, alla concreta individuazione di tale momento nel caso specifico, la Corte d'appello ha rilevato in fatto che sin dal 13.1.1995 i sanitari diagnosticarono la "formazione di siero in esiti reimpianto TPA", e che di conseguenza - anche alla luce del perdurare del dolore e delle secrezioni della ferita chirurgica, il paziente "poteva intuire che la malattia era legata all'intervento, anche se non era in grado di percepirne la portata" (così la sentenza, pag. 15-16).

Ha quindi soggiunto la sentenza che ai fini dell'individuazione dell'exordium praescriptionis nulla rilevava né l'età della vittima, né la allegata indisponibilità delle cartelle cliniche: non la prima, perché "con frequenza televisione radio e giornali si occupano, a torto o ragione, di c.d. casi di malasanità"; non la seconda, perché avendo il paziente diritto di accedere alle cartelle cliniche, il non averne chiesta copia per acquisire consapevolezza della genesi della malattia costituisce una condotta negligente imputabile al paziente stesso, ed inidonea a spostare in avanti il decorso del termine di prescrizione.

La motivazione appena riassunta è per un verso insufficiente, e per altro verso contraddittoria.

La motivazione è insufficiente sotto tre aspetti. In primo luogo, è insufficiente perché affronta solo uno dei due presupposti di fatto cui la giurisprudenza àncora il decorso del termine di prescrizione nel caso di danni lungo latenti… nel caso di danni a decorso occulto la prescrizione inizia a decorrere quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, possa avvedersi:

a) dell'esistenza del danno;

b) della sua riconducibilità causale al fatto illecito del terzo.

Nel caso di specie, la Corte d'appello si è soffermata sulla percepibilità dell'esistenza del danno, ma nulla ha spiegato in merito alle ragioni per le quali la vittima, oltre che dell'esistenza del danno, potesse avvedersi altresì della sua derivazione causale da un fatto colposo del medico, piuttosto che da una complicanza naturale o da cause estranee all'operato dei medici. In secondo luogo, la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente perché non si fa carico di esaminare le incertezze in cui gli stessi medici che ebbero in cura il paziente si dibatterono per anni»

(Cass. civ., Sez. III, 23 ottobre 2014, n. 22507, Pres. Antonio Segreto, Rel. Marco Rossetti).

 

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