Una lesione o un'infermità preesistente viene aggravata dal medico e, quindi, concorrono fattori naturali e fattori umani; si consolidano postumi permanenti che la vittima avrebbe altrimenti evitato, anche in considerazione del fatto che, in assenza di colpa del medico, sarebbe guarita senza postumi o la guarigione sarebbe sopraggiunta con il consolidamento di postumi inferiori.
Qual è la quota ideale di pregiudizio ascrivibile al medico?
Esaminiamo la risposta che ne dà la dottrina.
«Così ad esempio: il medico che ha mal curato la riduzione di una frattura scomposta di femore deve rispondere anche dei postumi permanenti che sarebbero comunque derivati dalla frattura, quand'anche correttamente curata? A tale quesito la giurisprudenza dà risposta affermativa sia nel caso in cui la lesione originaria sia dovuta a caso fortuito
o forza maggiore, sia nel caso in cui sia dovuta a colpa di un terzo. Nel primo caso il medico risponderà dell'intero danno (quello ascrivibile alla lesione originaria, e quello ascrivibile all'aggravamento dovuto a sua colpa) perché nel caso in cui il danno finale sia prodotto dal concorso di fattori naturali e fattori umani, la responsabilità dell'offensore non è esclusa, né limitata (Cass., Sez. II, 28 marzo 2007, n.(Rossetti, in Ri.Da.Re., Giuffrè, Milano, del 24 ottobre 2014).
L'interrogativo più spinoso da sciogliere riguarda, infine, il profilo del quantum, poiché si tratta di determinare, nella liquidazione del danno iatrogeno, cosa ristorare.
E' erronea la prassi adottata da molti tribunali di attribuire all'ausiliare medico-legale un quesito del genere: "Dica il CTU quale sia il grado di invalidità del periziando e quanta parte di esso sia stato cagionato dalla lesione originaria".
Infatti, il valore monetario del punto di invalidità aumenta in maniera esponenziale rispetto all'aumentare dell'invalidità.
Talché, sono due cose perfettamente diverse le liquidazioni di un 10% e di due 5%.
L'iter corretto è stabilire, in primo luogo, quale sarebbe stato il grado di invalidità permanente, la durata dello stato di malattia, il danno morale, il danno esistenziale e il danno patrimoniale che la parte lesa avrebbe risentito ove il medico non fosse incappato in colpa professionale.
In secondo luogo, individuare qual è l'effettività dei pregiudizi che hanno colpito il paziente.
Infine, va defalcato da il primo valore dal secondo.
Il calcolo differenziale va eseguito non sottraendo il grado di invalidità effettivamente residuato da quello che sarebbe residuato se non si fosse concretizzato l'aggravamento ascrivibile all'imperizia del medico, bensì sottraendo il risarcimento effettivamente dovuto da quello che sarebbe stato spettante se non vi fosse stato il danno iatrogeno.
Infatti, vertendosi in tema di danno differenziale, il sistema corretto da adottare è quello della prognosi postuma.
Tant'è che l'unica pronuncia del S.C. che si occupa di tale pecualire problematica, conclude che:
«il danno evento cagionato dalla cattiva esecuzione dell'intervento è, dunque, la determinazione di una situazione invalidante del 10%. La determinazione di tale situazione risulta ascrivibile alla sola cattiva esecuzione dell'intervento e lo è per essere stata l'integrità del ricorrente diminuita fino al 10%. Il danno evento così verificatosi, tuttavia, fino a concorrenza del 5%, non è imputabile alla resistente ed all'intimato perché ciò che essi hanno determinato è sola la perdita di integrità dal 5% al 10%. Ora, nel liquidare il danno secondo il sistema tabellare, considerare l'equivalente di un'invalidità del 5% significa considerare un danno-evento diverso da quello cagionato dai responsabili, perché la loro condotta ha cagionato il danno-evento rappresentato non dalla perdita dell'integrità fisica da zero al 5%, bensì in quella dal 5% al 10%. L'equivalente da considerare era, dunque, quello pari al 10%, ma, come correttamente prospetta il ricorrente non già nella integrità bensì solo in quello che, secondo le tabelle applicate rappresenta la differenza fra il valore dell'invalidità del 10% e quello del 5%. Di quest'ultimo, infatti - che non si sa se sia addebitabile al caso fortuito o a colpa dello stesso ricorrente in occasione della caduta da cavallo e della verificazione del trauma certamente determinanti, per effetto di cosa giudicata interna, in modo irreversibile un'invalidità del 5% - non debbono rispondere l'Ospedale ed il S.»
(Cass. civ., Sez. III, 19 marzo 2014, n. 6341, Pres. Giuseppe Maria Berruti, Rel. Raffaele Frasca, in GCM, 2014).