Il latino è parte della nostra vita, ma lo ignoriamo
di Paolo M. Storani - (presentazione: numero zero) Il giorno 11 febbraio 2013 non è una data come un'altra per la storia della Chiesa: era dal 1294 che un Papa non rinunciava al suo incarico. Joseph Ratzinger segue le orme di Celestino V, qualche tempo prima se n'era andato in visita a L'Aquila, martoriata dal terremoto, nei luoghi cari al suo famoso predecessore, lo riabilita mentre Wojtyla tenne un'omelia a pochi metri di distanza dall'urna senza nominarlo, ne visita la tomba, situata nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, ove lascia in modo plateale (premonitore) il suo pallio, il mantello pontificio; prende la decisione in solitudine: che è una sorpresa per tutti che lascia il mondo dei fedeli di stucco.
L'occasione è un avvenimento di secondo piano, un concistoro in cui devono essere canonizzati i martiri di Otranto, sono le ore 11:41 di lunedì 11 febbraio 2013, un giorno qualsiasi.
Papa Benedetto XVI parla con voce fioca, in lingua latina.
I presenti capiscono che sta per dare una notizia grave ed i soli che hanno già il testo sono Sodano, decano del sacro collegio, e Bertone, segretario di Stato.
Sicuramente sapevano i due Georg, il fratello ed il fido Ganswein, il segretario particolare del Papa ed attuale prefetto della Casa Pontificia, nonché arcivescovo titolare di Urbisaglia.
Il Pontefice ha scritto di suo pugno il discorso.
Si tratta di un uomo ammirato per la sua cultura.
E' tedesco e la sua lingua d'origine, per la sua struttura, agevola la padronanza del latino.
Eppure ha allestito, forse per l'emozione del momento epocale, un documento che le mie care Professoresse Maria Tonini in Fugallo (sorella del Cardinale Ersilio Tonini) e Maria Carapella del Liceo Ginnasio "Giacomo Leopardi" di Macerata avrebbero infarcito di tratti di penna rossa e blu.
Addirittura il successore di Karol Wojtyla, proprio nella frase più importante del testo, zeppo di prestiti disinvolti ricavati da autori delle più svariate epoche privi di serie attestazioni di età classica, con riferimento al passo nevralgico "declaro me ministerio renuntiare", scivola clamorosamente sul dativo scrivendo e pronunciando "commissum" invece di "commisso" ('incombenza affidatami').
Nella concitazione dell'evento nessuno se ne accorge: neppure il colto ed erudito Papa scrive e parla più il latino correttamente!
E dire che il latino è la lingua ufficiale del clero della Chiesa cattolica, che conserva (anzi ripristina nella messa) la liturgia in quella lingua, è l'espressione ufficiale dei documenti della Chiesa Romana e la lingua dello Stato del Vaticano.
Eppure, il nostro mondo è ancora ricchissimo di riferimenti alla lingua dei nostri padri che ha svolto la funzione di unificare la cultura (in special modo quella giuridica grazie al poderoso diritto romano) europea, molto prima degli abborracciati tentativi di dare all'Unione Europea un qualcosa di realmente unificante qual è ora, stentatamente, la moneta dell'euro.
In realtà, per molti secoli, senza cancellare la cultura greca, anzi abbracciandolo, il latino ha esercitato un ruolo fondamentale negli scambi culturali e lo stesso attuale inglese è figlio del latino.
Io non condivido la tesi, priva di basi scientifiche e ripetuta all'unisono a pappagallo, dell'origine indoeuropea di tali famiglie linguistiche, con esclusione del finnico, del magiaro (lingue ugrofinniche), del turco, del basco.
Avete mai sentito parlare di un indoeuropeo? Ha lasciato qualche traccia visibile, un monumento, un documento, una cultura composita come, ad esempio, hanno fatto gli Etruschi?
Eppure ci riempiamo la bocca con tale formula stantia dell'indoeuropeo, asserito progenitore di quasi tutte le lingue moderne. Forse solo il ceceno, lingua caucasica ricca di consonanti e suoni simili all'arabo parlata da un milione di persone, potrebbe derivare da un ceppo indoeuropeo proveniente da tali cavalieri della steppa che la cultura accademica imperante tiene a definire indoeuropei.
L'indoeuropeo sarebbe un caso unico di un popolo fantasma la cui esistenza viene postulata esclusivamente per via linguistica. Qualche decennio fa veniva definito con lo sgradevole termine di "popolo ariano".
In realtà, questa strana associazione di termini è erronea sotto il duplice profilo etnico e storiografico, come ha dimostrato il grande filologo, purtroppo scomparso, Giovanni Semerano con la sua poderosa opera.
Le nostre lingue parlate in Occidente non derivano dal ceppo comune dell'indoeuropeo, bensì dall'accadico, lingua semitica adoperata per millenni in tutto l'Oriente antico.
La vera forza di questo straordinario ed entusiasta studioso nato ad Ostuni fu il suo respiro unitario in cui l'Oriente trapassa nell'Occidente senza cesure e le due coste del nostro mare non si debbono necessariamente scontrare, ma incontrare.
Fatto sta, comunque, che l'inglese svolge oggi la funzione del latino di allora: tra l'altro, è in assoluto la lingua più rilatinizzata: buona parte del dizionario inglese viene dal latino classico, medievale e moderno, dominante anche nell'apparato morfologico quanto a suffissi e prefissi.
E così mentre l'inglese, ormai di larghissimo utilizzo in tutti gli strati della popolazione, penetra in ogni settore della nostra vita, si porta con sé le sue ascendenze latine.
Al punto che non sarebbe per niente sbagliato cominciare a insegnare nelle nostre scuole l'inglese, principale strumento di comunicazione globale, prima e più dell'italiano, trattandosi di una convivenza possibile ed utilissima.
In questa nuova rubrica quotidiana, che abbiamo voluto intitolare SALVIS IURIBUS, un sintagma che gli avvocati appongono al termine del loro atto giudiziale, quasi a dire, un po' scaramanticamente, io ho fatto il mio lavoro e che Dio me la mandi buona!, parleremo di frasi in latino!
Se vi andrà di seguirci, sin da domani giocheremo con le... sentenze e con i motti latini, rinfrescandoci le idee e le conoscenze acquisite prima di scivolare, come accaduto a Papa Benedetto XVI, sulle bucce di banana di un latinetto.
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: