Chi consegna in pagamento di un debito assegni postdatati scoperti, rassicurando il prenditore sulla futura disponibilità del denaro, è responsabile del reato di truffa.
Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Cassazione, con sentenza n., 52021 depositata il 15 dicembre 2014 confermando la condanna di un uomo al reato di cui all'art. 640 c.p. a danno di un salumificio, per aver consegnato, in pagamento per l'acquisto di merce per un valore di oltre 23mila euro, assegni postdatati risultati privi di provvista finanziaria.
Concordando con la statuizione della Corte d'Appello di Lecce, la S.C. ha considerato inammissibili le doglianze dell'imputato, il quale deduceva che la mera consegna di assegni bancari scoperti non costituisce il reato di truffa in mancanza di artifici o raggiri, avendo egli solo acquistato la merce per conto delle ditte che rappresentava, senza sapere se gli assegni fossero scoperti o meno e non traendo alcun vantaggio patrimoniale della vicenda.
Richiamando la giurisprudenza consolidata (cfr., ex multis, Cass. n. 28752/2010), la S.C. ha premesso che "integra il delitto di truffa, perché costituisce elemento di artificio o raggiro, la condotta di consegnare in pagamento, all'esito di una transazione commerciale, un assegno di conto corrente bancario postdatato, contestualmente fornendo al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria, onde ottenere la credibilità da parte dell'altro contraente, sì da indurlo in errore sulla consistenza patrimoniale ed economica della controparte".
Artifici e raggiri posti chiaramente in essere nel caso di specie, come correttamente rilevato dalla corte di merito - ha sottolineato la Cassazione - considerato che l'imputato non solo aveva rassicurato l'imprenditore circa la copertura degli assegni inducendolo ad accettarli, ma provvedeva, di volta in volta, autonomamente a postdatarli dimostrando in tal modo di essere consapevole della mancanza di provvista degli stessi, i quali, peraltro, erano tutti tratti sul conto corrente bancario della cognata.
Né può assumere rilievo, ha concluso la S.C. dichiarando inammissibile il ricorso e condannando l'uomo anche al pagamento delle spese processuali, la mancanza di alcun vantaggio patrimoniale, giacché "la norma incriminatrice dell'art. 640 c.p. non richiede che dalla condotta derivi un vantaggio patrimoniale per il reo, essendo sufficiente che derivi un ingiusto profitto ad altri".
Cassazione Penale, testo sentenza 15 dicembre 2014, n. 52021