Nel caso di specie un lavoratore aveva registrato una conversazione avvenuta con il datore di lavoro per precostituirsi una prova da utilizzare successivamente nel giudizio di impugnazione del licenziamento.
Secondo la Corte la registrazione di un colloquio intercorsa tra due persone assurge al rango di prova se è posta in essere da uno dei soggetti coinvolti nella conversazione.
Nella fattispecie, una società aveva disposto il licenziamento di un proprio dipendente e i giudici di merito ne avevano dichiarato la illegittimità.
Il ricorso in Cassazione contro detta pronuncia, non ha sortito gli effetti sperati per la società ricorrente. La Corte evidenzia infatti che non sono stati provati gli addebiti mossi al lavoratore e che il fatto di aver tentato di registrare una conversazione con i superiori non non può considerarsi una condotta illecita neppure sotto il profilo disciplinare. Al contrario, la registrazione della conversazione con il capo, se viene fatta allo scopo di utilizzarla in giudizio, è lecita e può costituire una prova utilizzabile nel processo civile.
Gli ermellini chiariscono che nel caso di specie non può ritenersi leso il vincolo di fiducia con il datore di lavoro perché l'affidamento che il capo deve avere sul proprio dipendente riguarda la sua capacità di adempiere alle obbligazioni lavorative e non quella di "condividere segreti non funzionali alle esigenze produttive e/o commerciali dell'impresa".
L'iniziativa del dipendente di registrare le contestazioni verbali da parte dei superiori di presunte infrazioni disciplinari, al contrario, integrava nella fattispecie la scriminante dell'esercizio del diritto di difesa ai sensi dell'art. 51 c.p. Data la portata generale di tale diritto, ben poteva, così, il dipendente registrare il colloquio ancor prima dell'instaurazione di un eventuale procedimento civilistico o penalistico a suo carico, essendo detta attività orientata precisamente all'acquisizione di prove a suo favore.