Anche un cacciavite rientra tra gli strumenti idonei ad aprire o forzare le serrature, per cui il suo possesso ingiustificato può integrare il reato di cui all'art. 707 del codice penale.
Ad affermarlo è la Cassazione, con sentenza n. 53653 del 23 dicembre 2014, confermando la sentenza di condanna della Corte d'Appello di Palermo a sei mesi di arresto (oltre alla confisca e alla distruzione del materiale sequestro) per il delitto suddetto, nei confronti di un uomo "beccato" dalla Polizia mentre, aggirandosi con fare sospetto in una piazza di Palermo, tentava di disfarsi di un cacciavite della lunghezza di ben 25 cm, facendolo "furtivamente" scivolare a terra e cercando di allontanarsi.
Oltre al tentativo maldestro di liberarsi dell'utensile, a convincere la Corte di merito era stata la sussistenza in capo all'imputato delle condizioni soggettive relative all'applicazione dell'art. 707 c.p., in quanto già gravato da precedenti penali per rapina, ma anche la condotta dello stesso che alla vista degli agenti di polizia cercava di disfarsi dell'oggetto, corroborando il possesso illegittimo e avvalorandone la colpevolezza.
L'uomo ricorreva per Cassazione dolendosi del fatto che non rientrando il cacciavite trovato in suo possesso "in maniera univoca nel novero degli strumenti atti ad aprire od a forzare serrature" e, dunque, non essendo ricompreso nella formulazione dell'art. 707 c.p. "difetterebbe nel caso concreto la ricorrenza di un elemento costitutivo della fattispecie in contestazione.
Ma la Cassazione non è affatto d'accordo.
Concordando, invece, con la sentenza
della corte territoriale, i giudici della seconda sezione penale della Cassazione hanno risolutamente affermato che "in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli, l'espressione "strumenti atti ad aprire o forzare le serrature", contenuta nell'art. 707 cod. pen. deve essere intesa nella sua accezione più ampia ed incondizionata, sì da farvi rientrare tutti gli arnesi idonei di per sé ad aprire le serrature ed altri analoghi congegni dotati di attitudine potenziale ad operare sulle medesime", precisando che "anche il cacciavite è da considerarsi un arnese atto allo scasso".Peraltro, hanno sottolineato i giudici del Palazzaccio, dichiarando inammissibile il ricorso e condannando anche il ricorrente al pagamento delle spese processuali, la disposizione di cui all'art. 707 c.p. pone a carico del detentore "l'onere di dare la prova che gli oggetti rinvenuti in suo possesso sono destinati ad un uso legittimo", giustificazione che, nel caso di specie, non è stata fornita dall'imputato, il quale ha anzi alimentato con la propria condotta il "chiaro sospetto che il cacciavite fosse detenuto per scopi illeciti".
Cassazione Penale, testo sentenza 23 dicembre 2014, n. 53653• Foto: giudice sentenza martello