Domanda: Se si costruisce una casa su un terreno altrui, di chi è la proprietà?
Risposta: Qualunque sia il motivo che abbia indotto a costruire sul suolo altrui è bene sapere che per l'art. 934 del codice civile: "qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo".
Si tratta del principio della cosiddetta "accessione" in base al quale il suolo attrae tutto quello che vi è incorporato sopra.
Per cui, il proprietario del terreno diventa proprietario "ipso iure" (cioè immediatamente) di tutti i beni che si trovino sopra (o sotto) lo stesso (piantagioni, costruzioni, ecc.) essendovi "saldamente" connessi, in virtù proprio dell'istituto dell'accessione, la cui ratio è da rintracciarsi nella "forza espansiva" del diritto di proprietà.
Né sono influenti, ai fini dell'operatività dell'acquisto per accessione: la circostanza che l'opera sia compiuta da terzi o dallo stesso proprietario; la consistenza o la destinazione dell'opera stessa; la coincidenza o meno degli interessi dell'esecutore con quelli della collettività (Cass. n. 23798/2006).
Limiti dell'accessione
Tuttavia, la regola dell'accessione non riveste carattere di assolutezza, essendo limitata oltre che "dal titolo" o dalla "legge anche da una serie di eccezioni, contemplate dallo stesso art. 934 c.c., dirette a dirimere gli eventuali contrasti nascenti dalla realizzazione dell'opera con materiali altrui.
L'art. 935 c.c., ad esempio, disciplina la circostanza in cui le opere siano state eseguite dal proprietario del suolo con materiali di altri.
La disposizione codicistica, in tal caso, contempla due ipotesi: quella in cui la separazione dei materiali dall'opera realizzata non è richiesta dal proprietario degli stessi e quella in cui la separazione non possa farsi senza arrecare grave danno alla costruzione o senza che perisca la piantagione.
Nel primo caso, non si ha automaticamente acquisto per accessione della proprietà delle opere, poiché il proprietario può rivendicare i materiali entro 6 mesi; nel secondo, l'acquisto della proprietà é automatico rimanendo, però, un effetto "obbligatorio" in capo al proprietario, il quale diversamente si arricchirebbe ingiustificatamente in danno altrui.
In entrambe le ipotesi il proprietario del suolo deve pagare il valore del materiale utilizzato e, anche laddove se ne disponga la separazione, se si ravvisa colpa grave, il risarcimento dei danni.
Opere costruite da un terzo con materiali propri
Il successivo art. 936 c.c. prevede l'ipotesi delle opere eseguite da un terzo con materiali propri.
Se si costruisce con materiali propri senza autorizzazione da parte del proprietario, quest'ultimo potrà scegliere o di trattenere l'opera pagando in tal caso un indennizzo pari (a sua scelta) al valore dei materiali e al prezzo della manodopera, oppure al maggior valore acquisito dal suolo. Se, però, il proprietario del terreno non vuole trattenere il bene, può obbligare chi lo ha costruito a demolirlo a sue spese oltre a chiedere il risarcimento del danno. Questa seconda possibilità è riconosciuta però soltanto se la costruzione è stata realizzata in malafede ossia nella consapevolezza che il suolo fosse di proprietà di terzi. In ogni caso la rimozione può essere domandata entro sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione.
Costruzione eseguita da un terzo con materiali altrui
L'art. 937 c.c., invece, prevede il caso in cui la costruzione sia stata eseguita da un terzo con materiali altrui.
In queste ipotesi, il proprietario può rivendicare i materiali (previa separazione a spese del terzo), soltanto se la separazione può ottenersi senza apportare gravi danni alla costruzione stessa e al fondo, entro il termine di decadenza di sei mesi dalla conoscenza dell'incorporazione.
Laddove la separazione dei materiali non sia richiesta o gli stessi siano inseparabili, sia il terzo che li ha utilizzati che il proprietario del suolo, in malafede, sono tenuti a pagare un'indennità pari al valore degli stessi al loro proprietario.
Quest'ultimo può anche rivolgersi per l'indennità al proprietario del suolo in buona fede, limitatamente però al prezzo che da questi sia ancora dovuto, nonché chiedere ad entrambi (sia al terzo che ha usato i materiali senza il suo consenso che al proprietario in malafede che ne abbia autorizzato l'uso) il risarcimento dei danni cagionati.
Costruzione parziale su fondo altrui
Un'altra ipotesi è quella in cui la costruzione sul fondo altrui è solo parziale.
Può accadere infatti che si stia costruendo sul proprio fondo e che in buona fede si sia sconfinati sull'attigua proprietà altrui.
In tal caso si applica il principio della cosiddetta "accessione invertita" disciplinata dall'art. 938 del codice civile.
Secondo la disposizione codicistica, il giudice può attribuire a chi ha costruito "in buona fede" la proprietà di una parte del fondo occupata, sempre che il proprietario di questo non faccia opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ha avuto inizio la costruzione, obbligandolo contestualmente a pagare il doppio del suo valore oltre al risarcimento dei danni all'originario proprietario.
Diversamente dall'istituto dell'accessione ex art. 934 c.c., l'accessione invertita non opera, quindi, automaticamente, ma deve essere pronunciata dal giudice, il quale, tenuto conto delle diverse circostanze, emette, sul punto, sentenza costitutiva (cfr. Cass. n. 5381/2006).