Non ha ritenuto qualificabile tale gesto come "oggettivamente idoneo a ledere l'onore e il prestigio della persona offesa"

È una delle solite liti condominiali, sfociata nell'"innaffiamento" completo di una donna da parte del vicino di casa armato di pompa dell'acqua, al grido di "vedrai cosa ti succederà, ti rimando da dove sei venuta", il caso portato all'attenzione della Suprema Corte.

Ma il fatto per i giudici del Palazzaccio non costituisce reato.  

Già assolto in primo e in secondo grado dal reato di cui agli artt. 81 cpv, 594 e 612 c.p. per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, leso il decoro della vicina di casa minacciando altresì di cagionarle un danno utilizzando la gomma per innaffiare per bagnarla e minacciandola verbalmente, l'uomo la fa "franca" così anche in Cassazione.

Contrariamente a quanto sostenuto dal pubblico ministero ricorrente, infatti, la quinta sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 460 depositata l'8 gennaio 2015, pur non essendoci dubbi sulla condotta dell'uomo (che ha effettivamente innaffiato la donna), non ha ritenuto qualificabile tale gesto come "oggettivamente idoneo a ledere l'onore e il prestigio della persona offesa".

Se è vero, infatti, ha ricordato la Corte, che il reato di ingiuria

"non si consuma solo attraverso lo scritto o la parola, ma può compiersi anche attraverso ‘comportamenti', cioè con atti materiali (ingiuria reale) che manifestino un sentimento di disprezzo verso la persona offesa e siano quindi tali da offendere il suo onore e il suo decoro", tuttavia, occorre che tale manifestazione di disprezzo, ove non si traduca in espressioni offensive "immediatamente lesive" dell'onore e del decoro della persona colpita, "palesi in sé la carica ingiuriosa o comunque in considerazione di particolari circostanze dei rapporti tra le parti, del contesto insomma in cui è inserita, lasci chiaramente intendere il disprezzo dell'autore nei confronti della vittima".

E, nel caso specifico, rimanendo ignoti i rapporti tra le parti e l'esatta dinamica della vicenda che ha determinato il "bagno" della vicina, "in mancanza di una specifica contestualizzazione del gesto, non avendo in sé l'atto dell'innaffiare portata offensiva - ha concluso la Corte rigettando il ricorso - non può ritenersi integrata la condotta di cui all'art. 594 c.p.". 


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