L'intimidazione perpetrata nei confronti di un avvocato legittima anche l'ordine forense a costituirsi parte civile poiché, ad essere minacciato, a causa della lesione della libertà nell'esercizio del mandato difensivo, è lo stesso diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione.
È questo il principio affermato dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 846 del 12 gennaio 2015, la quale oltre a confermare la condanna per i due assassini di Teresa Bonocore, la "mamma coraggio di Napoli" uccisa nel 2008 per avere testimoniato contro Enrico Perillo determinandone la condanna a 15 anni di reclusione per i reati di violenza sessuale continuata e aggravata su minori, compresa la figlia della donna, ha riconosciuto il diritto dell'ordine professionale ad intervenire come parte civile e, come tale, ad essere risarcito, nel giudizio che vedeva coinvolto, quale parte offesa, un proprio iscritto, vittima di pesanti intimidazioni.
Il professionista, infatti (un avvocato napoletano), subiva l'incendio del proprio studio, da parte di uno dei due imputati di omicidio a danno della Bonocore, poiché ritenuto "responsabile di aver creato problemi a Perillo per alcuni abusi edilizi da questo realizzati sul terrazzo della propria abitazione", difendendo in un procedimento penale un ufficiale delle forze dell'ordine "denunciato da Perillo per violenza privata commessa nel contesto dell'accertamento dei reati edilizi".
Dopo essere stata respinta in primo grado, sull'assunto che la legittimazione dell'ordine professionale esiste soltanto allorquando lo stesso abbia subito danni di natura patrimoniale e non già in ordine agli interessi morali della categoria, la pretesa di costituzione di parte civile (e il diritto al risarcimento) da parte del locale Consiglio dell'Ordine, veniva, invece, ammessa in appello, riconoscendo la legittimazione anche quando il fatto illecito colpisce diritti inviolabili e costituzionalmente protetti.
Avallando la lettura del giudice di secondo grado, la Cassazione, partendo dalla considerazione dell'estensione dell'area della risarcibilità del danno, con il progressivo affermarsi dell'interpretazione secondo cui l'art. 2043 c.c. comprende una clausola generale di responsabilità posta a tutela non solo dei diritti formalmente riconosciuti ma anche delle situazioni giuridicamente protette, ha suggellato la legittimazione del Consiglio dell'Ordine di intervenire in giudizio.
Una legittimazione che, a detta dei giudici del Palazzaccio, deriva dalla stessa inviolabilità del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, giacché la lesione della libertà dell'avvocato nell'esercizio del suo mandato difensivo, perpetrata attraverso minacce o intimidazioni, comporta l'impossibilità di garantire la pienezza della difesa della parte assistita e, dunque, una limitazione di un diritto costituzionalmente riconosciuto.
Per cui, la lesione al diritto del singolo, alla libertà, indipendenza e autonomia nello svolgimento della propria professione, ha affermato la Cassazione, è anche una "lesione al diritto dell'organismo associativo di appartenenza", che tali posizioni di libertà, indipendenza e autonomia, rafforzate, peraltro, dal nuovo ordinamento forense, è chiamato a garantire.