Scatta la condanna penale per il marito che per impedire alla moglie di portare l'amante nella casa coniugale ricorre alla forza. Anche se il coniuge fa uso di un atteggiamento violento per l'umiliazione subita e 'per contastare la condotta moralmente riprovevole' della moglie, 'l'esercizio della violenza' dice la Corte di Cassazione 'non e' lecito'. Un marito romano, Angelo A., si e' cosi' visto confermare la condanna per 'violenza privata' e per 'esercizio arbitrario delle proprie ragioni ai danni della moglie Stefania'.. Invano l'uomo, condannato dalla Corte d'appello della capitale nell'ottobre del 2002, ha contestato in Cassazione l'assenza del dolo nel suo comportamento. 'Volevo solo impedire che mia moglie uscisse con l'amante e si intrattenesse con lui in casa nostra', ha giustificato gli atteggiamenti violenti il marito, portando anche come prova la sentenza del tribunale civile nella quale la colpa della separazione veniva attribuita alla moglie. La difesa non ha convinto i giudici della Quinta sezione penale che hanno bocciato il ricorso di Angelo, osservando che 'non e' lecito l'esercizio della violenza sia pure allo scopo di contrastare una condotta moralmente riprovevole'. Bocciata anche la difesa del marito laddove contestava che la condanna era scattata sulla base delle dichiarazioni fornite dslla moglie fedifraga. In proposito, piazza Cavour ricorda che 'la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non puo' essere equiparata a quella del testimone estraneo, puo' tuttavia anche da sola essere assunta come fonte di prova, non richiedendo neppure riscontri esterni quando non sussistano situazioni che indicano a dubitare della sua attendibilita''.
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