di Daniele Profili
Continuiamo ad approfondire la fattispecie in titolo proseguendo nell'analisi degli elementi costitutivi dell'ordine militare già iniziata nel precedente articolo. Altra caratteristica fondamentale dell'ordine è la libertà di forma nella sua emanazione e la mancanza della necessità di indicare le ragioni di servizio e/o disciplina che lo giustifichino. Al riguardo l'art. 1349, co. 3, del d.lgs. 66/2010, prevede espressamente che agli ordini militari non si applichino i Capi I, III e IV della legge 241/90, introducendo così una legittima eccezione al principio generale di applicabilità dei contenuti della stessa legge all'ordinamento militare, come previsto all'art. 1, co. 6 del d.lgs. 66/2010 (si badi bene la legge 241/90 è pienamente applicabile ai procedimenti disciplinari in virtù del fatto che il legislatore non ha espressamente previsto che tali procedimenti costituiscano una eccezione come invece stabilito per gli ordini militari).
Ulteriore aspetto fondamentale è che l'ordine, inteso quale manifestazione di volontà del superiore diretta al subordinato per fargli tenere un determinato comportamento, è da ritenersi un atto di natura recettizia, cioè diventi efficace nella misura in cui giunga al destinatario e da qui l'esigenza che sia percepito come vincolante. L'errore sull'ordine ricevuto, poiché inteso come consiglio, esortazione o invito, si risolve dal punto di vista penale in errore sul fatto che costituisce reato ed esclude il dolo dell'agente. Mentre l'erronea supposizione di non essere tenuto ad eseguire l'ordine emanato da un superiore o la malintesa conoscenza dell'ordinamento gerarchico e quindi dell'esigenza di subordinazione nei confronti di altro soggetto, si risolverà in un errore sui doveri inerenti allo status di militare, circostanza espressamente esclusa quale scusante dal disposto di cui all'art. 39 del c.p.m.p.
Caso particolare è costituito dall'ordine la cui esecuzione sia rivolta contro le istituzioni o che costituisca manifestamente reato. In tali casi l'art. 1349, co. 2, del d.lgs. 66/2010 contiene addirittura un obbligo di disobbedienza verso l'ordine ricevuto e un contestuale obbligo di informazione tempestiva dei superiori. Nel caso in cui, invece, l'ordine sia esclusivamente illegittimo (ovvero contrario a leggi, direttive, ecc.) il militare che lo riceva e se ne avveda ha il dovere di rappresentarlo al superiore che lo ha emanato, indicando le ragioni alla base delle sue considerazioni, anche se ciò non lo esime dal dovere di obbedienza. L'ordine, infatti, andrà comunque eseguito qualora venisse confermato. Per eventuali conseguenze derivanti dall'esecuzione dell'ordine illegittimo il militare non sarà punibile ai sensi dell'art. 51 c.p.
Caso particolare di disobbedienza è quello attinente al rifiuto della ricezione di comunicazioni. Il militare ha il dovere di prendere formalmente conoscenza degli atti che i superiori, per ragioni di servizio e/o disciplina, sottopongano alla sua visione. Pertanto, integrerà il reato di disobbedienza il rifiuto del militare di ricevere la comunicazione ad es. del trasferimento ad altro Ente, anche nell'ipotesi di asserita illegittimità del provvedimento stesso (Cass. pen., sez. I, 1 marzo 1985, n. 2092). La stessa cosa è valida ad es. per il rifiuto della presa visione delle note caratteristiche redatte dai superiori gerarchici, "trattandosi di adempimento inerente al servizio finalizzato a rendere incontestabile l'avvenuta comunicazione dei contenuti all'interessato, non rilevando il fatto che il rifiuto sia stato motivato unicamente dall'intento di contestare il contenuto del documento in questione" - Cass. pen., sez. I, 13 ottobre 1999, n. 111725. Al riguardo, tuttavia, in un caso particolare la S.C. ha scriminato il comportamento del militare che in sede di presa visione delle note caratteristiche aveva rilevato la mancanza di alcuni dati nel documento previsti dalla normativa allora vigente e aveva chiesto la concessione di tempo per poter approfondire i contenuti del documento prima di siglarli per presa visione. Secondo la S.C. l'agente ha esplicitato al superiore quali erano le ragioni alla base del suo temporaneo impedimento nella pronta esecuzione di quanto ordinatogli, ovvero firmare per presa visione il documento, e ritenendo fondate le stesse ha concluso che nel caso in specie "il ritardo nell'ottemperanza al comando non abbia rappresentato un ostacolo al corretto funzionamento dell'Amministrazione militare (bene giuridico tutelato dal reato di disobbedienza) e quindi il fatto non costituisce reato" (Cass. pen., sez. I, 4 novembre 1994, in Rass. giust. milit. 1994, 336-337). Ciò in quanto il comportamento dell'agente non aveva come fine quello di ritardare scientemente l'esecuzione dell'ordine ricevuto per contestarne il contenuto bensì di esaminare in maniera più approfondita un documento ritenuto viziato per eventualmente salvaguardare i propri interessi in un futuro ricorso amministrativo.
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Vedi anche: Diritto penale militare: analisi e configurabilità del reato di disobbedienza - prima parte.
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