È quanto afferma la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4158 del 28 gennaio.
Nel caso di specie, nel corso di una trasmissione televisiva la conduttrice e un cronista utilizzarono l'epiteto "bastardi" nei confronti di un gruppo di indagati sottoposti a misure cautelari in relazione ad un efferato omicidio di un minore.
Per il Giudice di ultima istanza, in presenza di un'ipotesi accusatoria ancora tutta da verificare nella sua fondatezza risulta essere oltrepassato il limite della continenza nel diritto di critica e la circostanza che nei confronti della persona sottoposta ad indagini sia stata emessa un'ordinanza di custodia in carcere non attenua la cautela che deve essere osservata nella divulgazione della notizia, pur sempre trattandosi di uno sviluppo delle indagini preliminari che va monitorato e verificato nel tempo, senza ingenerare nell'ascoltatore il convincimento appunto della colpevolezza dell'indagato.
Per quanto concerne nello specifico l'epiteto impiegato, per la Corte Suprema la parola bastardo, sebbene fosse originariamente destinata a indicare la persona nata da un'unione illegittima senza connotazione necessariamente spregiativa, ha acquisito nel linguaggio moderno un significato decisamente offensivo e nella fattispecie in esame, proprio in considerazione del contesto di dichiarato disprezzo in cui è stata pronunciata, ha assunto ancor più la valenza di gratuito attacco morale nei confronti delle parti offese.