Avv. Gabriele Mercanti
La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione prova, con la Sentenza n. 24.468 in data 18 Novembre 2014, a chiarire in concreto i contorni di una figura spesso foriera di problemi interpretativi: quella del comodato con termine non indicato espressamente, ma risultante dall'uso a cui la cosa deve essere destinata.(1).
Il caso trattato dagli Ermellini riguardava un contratto con il quale il marito aveva concesso in comodato alla moglie un immobile senza che fosse stato determinato il termine di restituzione (2) e che la moglie aveva adibito alla propria attività commerciale di estetista.
Ebbene, una volta deterioratisi i rapporti fra comodante e comodatario: il primo richiedeva alla seconda la restituzione immediata del bene adducendone a presupposto - appunto - la mancanza di termine espresso (con conseguente facoltà di restituzione a semplice domanda ai sensi dell'art. 1810 c.c.); la seconda si opponeva sostenendo che, essendo il termine - seppur non espresso - comunque desumibile dalla destinazione del bene (nel caso di specie per l'esercizio dell'attività di estetista), la richiesta di restituzione dovesse essere subordinata all'esistenza di urgente ed impreveduto bisogno (evidentemente non addotto dal marito) come previsto dal secondo comma dell'art. 1809 c.c..
Il Tribunale di Avellino (3) rigettava la richiesta del marito e la Corte d'Appello di Napoli (4) confermava le risultanze di prime cure, ritenendo entrambi gli Organi Giudicanti l'azione di restituzione immediata (cioè a semplice richiesta) non esperibile fino alla cessazione dell'uso cui il bene era stato adibito: da cui il giudizio di Legittimità.
Per comprendere al meglio il ragionamento del Supremo Collegio, occorre preliminarmente ricordare che dal dato normativo si evincono tre distinte figure di comodato:
a) quello con previsione espressa del termine;
b) quello con termine non espresso, ma implicitamente ricavabile dall'uso cui la cosa è destinata;
c) quello senza termine.(5)
La distinzione non è priva di implicazioni pratiche, in quanto solo nel caso del comodato senza termine (precedente lettera c) la restituzione può essere chiesta in qualunque momento dal comodante ed a prescindere dalla sussistenza di ragioni di sorta, mentre negli altri due casi la restituzione ante scadenza (espressa o implicita che sia) è consentita solo in ipotesi di urgente ed impreveduto bisogno del comodante.
E' di palmare evidenza come il concetto di "uso cui la cosa è destinata" è una formula alquanto vaga che l'operatore giuridico si vede costretto a dover meglio circoscrivere caso per caso.
La Giurisprudenza (6) è consolidata nel sostenere che l'uso cui deve essere destinata la cosa debba essere di per sé inscindibilmente collegato ad una durata predeterminata ovvero che debbano sussistere elementi certi ed oggettivi atti a stabilire ab origine la sussistenza di una specifica funzione e, per l'effetto, di un implicito termine di scadenza (si pensi ad es. ad un alloggio concesso ad un lavoratore per l'espletamento di uno specifico incarico ovvero ad uno studente universitario per meglio affrontare gli studi: casi questi in cui dalla specifica destinazione del bene si può stabilirne a priori o comunque in modo incontrovertibile la durata del godimento).
Non è, quindi, sufficiente per escludere che il comodato sia senza durata (e come tale - lo si ribadisca - revocabile ad nutum) che sia indicata nel contratto o comunque desumibile una finalità di utilizzo se questa non abbia le caratteristiche di cui sopra. (7)
In applicazione dei principi sopra enunciati, la Sentenza in commento ha aggiunto un utilissimo tassello logico - interpretativo, statuendo che "la circostanza che nell'immobile dato in comodato sia svolta un'attività commerciale non basta per ritenere quel comodato soggetto ad un termine implicito, ai sensi dell'art. 1810 c.c., e di conseguenza che il comodante non possa chiedere la restituzione dell'immobile sino a che non cessi l'attività in esso svolta".
Pienamente condivisibile è, a parere di chi scrive, anche l'argomento "pratico" utilizzato dai Giudici del Palazzaccio per rafforzare il convincimento di cui sopra. Dato che una destinazione d'uso (financo voluttuaria) è sempre impressa al bene dal comodatario, attribuire rilevanza a qualsiasi uso del bene renderebbe ogni comodato soggetto ad un termine implicito la cui scadenza - a sua volta - sarebbe rimessa alla mera volontà del comodatario stesso: basterebbe, allora, per il comodatario non cessare mai l'attività nel bene per paralizzare sine die il diritto di resittuzione del proprietario, paradosso che la Sentenza in commento ha voluto scongiurare.
Avv. Gabriele Mercanti - Foro di Brescia - avv.gabrielemercanti@gmail.com
(1) Tale fattispecie è indirettamente prevista dall'art. 1810 c.c., in base al quale "se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata …": dal tenore ipotetico della norma, se ne deduce pacificamente a contrario o che il termine possa essere stato convenuto o che possa essere desunto dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata.
(2) Valgano le considerazioni di cui alla precedente nota n. 1 circa la pacifica legittimità della figura.
(3) Cfr. Tribunale di Avellino n. 2.280/2008.
(4) Cfr. Corte d'Appello di Napoli n. 106/2011.
(5) Spesso tale figura viene definita come "precario" proprio per enfatizzare la soggezione del comodatario alla mera decisione del comodante. Addirittura vi è chi, proprio per tale volatilità del vincolo contrattuale, la esclude concettualmente dall'alveo del comodato, cfr. Tamburrino ne "Comodato (dir. civ.) Enc. Dir. VII", 1960, pg. 1002 ss.
(6) Cfr. su tutte Cass. n. 15.877/2013 con i richiami a sua volta ivi effettuati.
(7) Non si affronta in questa sede il travagliato tema del rapporto tra "uso cui la cosa deve essere destinata" e casa familiare, di recente risolto da Cass. Sez Unite n. 20.448/2014.