Avv. Francesco Pandolfi - cassazionista
Il responsabile di un'azienda che smaltisce (per esigenze produttive) carcasse di animali sui terreni in cui svolge la propria attività può finire sotto processo per il reato previsto e punito dall'art. 256 comma 1 lett. a) e comma 2 del D. Legislativo n.152/2006 in quanto sta gestendo (al fine di procurarsi profitto) rifiuti con modalità non autorizzata attraverso abbandono e smaltimento nel suolo di animali provenienti dall'allevamento.
La normativa di settore prevede lo smaltimento di carcasse avvenga mediante incenerimento e non mediante sotterramento.
Occorre in ogni caso prestare particolare attenzione alle autorizzazioni di cui l'azienda si va a dotare.
Infatti, nel caso in cui il sindaco del Comune ove l'azienda agricola svolge attività produttiva rilasci un qualche provvedimento autorizzativo relativo al sotterramento degli animali morti, sarà bene accertarsi che non esistano successive forme di "autorizzazioni integrate ambientali" aventi come scopo lo smaltimento dei rifiuti ivi compresi gli animali deceduti: solo rispettando scrupolosamente tali specifiche autorizzazioni si potrà prospettare l'immunità dal reato.
L'autorizzazione integrata ambientale prevede che lo smaltimento dei rifiuti, ivi compresi gli animali deceduti, avvenga in modo conforme alle norme di legge in vigore: non è consentito più l'affossamento degli animali nel terreno, ma è previsto invece che l'allevatore debba disfarsene attraverso il trattamento termico in strutture autorizzate ( Regolamento CE n. 1774/02 sostituito da Regolamento CE n. 1069/2009).
La giurisprudenza della Cassazione ha sottolineato che i corpi degli animali morti sono esclusi dalla disciplina generale sui rifiuti solo in quanto disciplinati, sotto il profilo sanitario e veterinario, dal Regolamento CE richiamato - attualmente dal Regolamento CE 1069/2009 -, che rimane l'unica ed esaustiva normativa applicabile solo in relazione a tale profilo; nel caso invece si esuli dalla suddetta normativa sanitaria e veterinaria, torna ad applicarsi la disciplina generale sui rifiuti ( cfr. Cass. Pen., Sez. 3, Sentenza
n. 28207 del 2011; Sez. 3, Sentenza n. 12844 del 2009; Sez. 3, Sentenza n. 21676 del 2007; Sez. 3, Sentenza n. 18219 del 2005 ).In una specifica vicenda affrontata dal Tribunale penale di Arezzo, conclusasi poi con sentenza n. 1180/14, veniva accertato che, stante la normativa vigente che non consente lo smaltimento tramite interramento dei tacchini, doveva applicarsi la disciplina generale dettata dal D.lgs. 152/06 (norme in materia ambientale), alla luce della quale la condotta ascritta all'imputato ben poteva qualificarsi come abbandono di rifiuti non pericolosi, penalmente rilevante in quanto effettuato da un soggetto titolare di impresa.
In buona sostanza: assicurarsi di aver scelto lo scrupoloso rispetto delle norme è sicuramente una modalità di gestione dell'impresa semplice e proficua allo stesso tempo, in quanto consente di prevenire qualsiasi problema, ivi incluse tutte le questioni che possono nascere nello specifico settore della gestione di rifiuti non pericolosi.
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