Il ravvedimento operoso non fa venire meno la rilevanza deontologica della violazione del dovere di adempimento fiscale previdenziale e contributivo.
Ad affermarlo è una recente sentenza del Consiglio Nazionale Forense (n. 86/2014), pubblicata sul sito istituzionale nei giorni scorsi e qui sotto allegata, che conferma la sanzione della sospensione di tre mesi a un avvocato che aveva omesso di fatturare i compensi percepiti in contanti, peraltro considerati sproporzionati, sanando le irregolarità soltanto l'anno successivo attraverso la normativa del ravvedimento operoso.
A nulla sono valse le doglianze dello stesso professionista, il quale sosteneva che la sopravvenuta regolarizzazione fiscale dei compensi percepiti avrebbe escluso il disvalore deontologico della sua condotta e che, inoltre, i compensi percepiti erano corretti, giacchè concordati con i clienti e, comunque, proporzionati all'attività svolta.
Per il Cnf, in linea con la precedenza giurisprudenza, la regolarizzazione tardiva da parte dell'avvocato, se vale a sanare la condotta sotto il profilo fiscale, è irrilevante con riferimento alla violazione deontologica, la quale permane, a prescindere dal danno all'erario, dato che il dovere di adempimento fiscale è finalizzato a proteggere il principio di solidarietà, comunque violato anche sotto l'aspetto della mancata contribuzione previdenziale.
Ad essere esclusa, invece, secondo il Consiglio, è la rilevanza deontologica del patto di quota lite, giacchè concluso dopo la riforma Bersani (l. n. 248/2006).
Secondo il Cnf, infatti, l'entrata in vigore della riforma ha cancellato il disvalore, etico e deontologico, dei patti di quota lite stipulati successivamente alla stessa.
Leggi la sentenza n. 86/2014 del Cnf