A un gruppo di dipendenti veniva irrogata la sanzione del licenziamento per giusta causa per la circostanza di essersi posti, in occasione di manifestazione cui hanno preso parte circa cinquanta lavoratori, alla testa del corteo.
Secondo l'impresa ricorrente essi avrebbero mantenuto un atteggiamento aggressivo e intimidatorio, lanciando oggetti sull'assemblea. Inoltre, "la contestazione riguardava anche l'accesso in azienda fuori dal regolare turno di lavoro e senza averne dato preventiva comunicazione al personale di sorveglianza".
Il licenziamento veniva annullato dal giudice di primo grado e la sentenza veniva confermata in appello. Avverso la decisione di secondo grado ricorreva in Cassazione l'azienda licenziante.
La Suprema corte, pronunciandosi sulla questione in oggetto, ha ripercorso il ragionamento adottato dal giudice d'appello per verificare l'esistenza di eventuali vizi procedurali o carenze di motivazione.
La Corte d'appello ha ritenuto non sufficientemente specificati né individuati i comportamenti intimidatori contestati dall'azienda; "nè a tal fine basta stare alla testa di un corteo, circostanza che di per sé non implica nessuna conseguente partecipazione agli illeciti addebitati".
La responsabilità per azione del gruppo nel nostro ordinamento non ha carattere oggettivo; "suppone pur sempre una condotta, anche minima, diretta a rafforzare l'altrui azione offensiva o ad aggravarne gli effetti, condotta non descritta nelle lettere di contestazione".
In definitiva, il comportamento addebitato ai lavoratori non è stato sufficientemente provato nel corso del giudizio di merito e la motivazione del giudice d'appello risulta dunque essere esente da vizi.
Il ricorso è rigettato e il principio di diritto enunciato è il seguente: "così come la responsabilità penale, anche quella disciplinare richiede un indispensabile coefficiente doloso o colposo, che nel caso di specie non può ricavarsi neppure dall'essere stati i lavoratori de quibus partecipi o promotori del corteo poi degenerato nel lancio di uova o di altri oggetti, mancando la prova che essi vi abbiano materialmente o moralmente partecipato o che in qualche modo essi abbiano preventivamente concordato con altri il ricorso ad una contestazione violenta".
Si consiglia la lettura integrale della sentenza qui sotto allegata per un approfondimento in merito all'interpretazione dell'art. 116 codice penale.
Vai al testo della sentenza 3535/2015