Con sentenza dell'11 febbraio 2015 n. 11, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 comma 6 della Legge sul divorzio.
La questione era stata sollevata dal Tribunale di Firenze sostenendo che l'art. 5, sesto comma della legge n. 898/70 sarebbe in contrasto con gli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione nella parte in cui prevede che l'assegno divorzile deve essere concesso per garantire al coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.
Ad avviso della Corte però la questione è infondata per il fatto che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non è l'unico parametro di riferimento ai fini della determinazione dell'assegno divorzile.
La Corte, infatti, precisa che l'assegno divorzile, ai sensi dell' art. 5 della legge n. 898 del 1970, è quantificato avendo riguardo non solo del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma anche della condizione e reddito dei coniugi, del contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune, della durata del matrimonio, e del comportamento dei coniugi nell'aver determinato la fine dell'unione matrimoniale.
Il paramentro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quindi, rileva all'esclusivo scopo di stabilire in astratto il tetto massimo dello stesso ma di fatto è solo uno dei parametri che va quindi a concorrere con tutti gli altri ugualmente indicati nell'art. 5., sesto comma e che possono comportare una diminuzione dell'assegno.
Come si legge in sentenza: i criteri indicati dall'art. 5 (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) «agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto» e possono «valere anche ad azzerarla».
Qui di seguito il testo della sentenza.