di Marina Crisafi - Anche se l'avvocato fa parte di uno studio associato, i crediti professionali vantati nei confronti del fallito vanno inseriti tra quelli privilegiati: l'attività difensiva, infatti, è caratterizzata dalla personalità della prestazione e dalla responsabilità diretta del professionista, perciò la partecipazione ad un'associazione non può costituire ostacolo al riconoscimento del privilegio.
A stabilirlo è la prima sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4485 del 5 marzo 2015, accogliendo il ricorso di un difensore avverso la sentenza del tribunale di Modena che aveva respinto l'opposizione ex art. 98 L.F. dallo stesso proposta per ottenere l'ammissione in via privilegiata ex art. 2751-bis n. 2, c.c. allo stato passivo del fallimento per i crediti vantati quali corrispettivi dell'attività difensiva svolta in favore della società poi fallita.
Dolendosi della decisione del giudice di merito, il quale rilevava che, facendo parte il difensore di un'associazione professionale il compenso a lui spettante doveva ritenersi remunerativo anche di una quota del capitale investito per l'organizzazione della stessa e ripartito poi tra tutti gli associati ancorché estranei alla prestazione resa, l'avvocato deduceva invece che la tutela assicurata dall'art. 2751-bis c.c. alle prestazioni d'opera intellettuale non fa alcuna distinzione sotto il profilo dell'organizzazione del lavoro del professionista. A fortiori, considerando che l'incarico, da parte della società poi fallita, era stato conferito e svolto da un singolo avvocato, il quale, a prescindere dalla sua appartenenza ad uno studio associato, rimaneva "l'unico titolare dell'attività affidatagli e l'esclusivo responsabile della stessa nei confronti del cliente".
La S.C. gli dà ragione.
Ciò che occorre accertare ai fini del riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., hanno affermato, infatti, i giudici del Palazzaccio "non è se il professionista richiedente abbia o meno organizzato la propria attività in forma associativa, ma se il cliente abbia conferito l'incarico dal quale deriva il credito a lui personalmente ovvero all'entità collettiva (associazione, studio professionale) nella quale, eventualmente, egli è organicamente inserito quale prestatore d'opera qualificato". Mentre in tale ultimo caso, infatti, il credito ha "natura chirografaria perché ha per oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un'attività che è essenzialmente imprenditoriale", hanno osservato gli Ermellini, nel primo ha senza dubbio "natura privilegiata, in quanto costituisce in via prevalente remunerazione di una prestazione lavorativa, ancorchè necessariamente (ossia a prescindere dal fatto che lo studio sia nella titolarità di un singolo o di più professionisti), comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento".
Quanto all'eventuale cessione del credito privilegiato all'associazione cui il professionista appartiene va sicuramente escluso, ha concluso la S.C., che lo stesso "degradi a chirografo", giacché al contrario "è questa la sola ipotesi in cui anche lo studio associato sarà legittimato a far valere il diritto al privilegio".
Su quest'assunto, pertanto, la Corte non ha ravvisato alcun ostacolo al riconoscimento del privilegio richiesto per l'attività giudiziale svolta dall'avvocato in favore della società poi fallita che gli aveva conferito mandato a rappresentarla e difenderla in due cause che la vedevano coinvolta, disponendo l'ammissione in via privilegiata del credito già ammesso al chirografo allo stato passivo.