Avv. Francesco Pandolfi cassazionista
Non è possibile pervenire ad un decreto di revoca della licenza di porto d'armi uso caccia, basando la scelta amministrativa sulla ritenuta pericolosità per l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica di componenti familiari in quanto pregiudicati, se tale valutazione non poggia su solidi riscontri oggettivi che fanno temere il reale rischio di un abuso delle armi.
In effetti, la capacità di abusare delle armi significa poterne quantomeno disporre, orbene: tale circostanza non si può verificare se i parenti giudicati pericolosi sono detenuti, pertanto chiaramente impossibilitati ad abusarne.
Nel caso di specie (Tar Catanzaro, sentenza n. 1080 del 26.08.2014) Tizio chiedeva l'annullamento previa sospensiva del decreto con il quale gli veniva revocata la licenza di porto d'armi uso caccia, riferendo come la motivazione del provvedimento fosse fondata sulla pericolosità di alcuni componenti familiari per l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica, siccome pregiudicati e facenti parte di una organizzazione criminale di rilevante spessore ( indi non poteva escludersi il collegamento tra i predetti e il ricorrente ).
Impugnava il provvedimento per illegittimità per violazione di legge e del diritto di difesa, carenza di motivazione ed eccesso di potere.
In particolare argomentava:
1. di essere affidabile e di utilizzare correttamente le armi, di essere incensurato e aver sempre vissuto nell'osservanza delle regole di convivenza sociale;
2. che non era a conoscenza di familiari pericolosi;
3. che nessun valore veniva attribuita alla difesa del ricorrente nel decreto conclusivo;
4. che la sola motivazione era la parentela con soggetti pericolosi, facenti parte di organizzazione criminale;
5. che non era stato rispettato il suo diritto di difesa;
6. che non vi era alcun collegamento di tali parenti pericolosi con il ricorrente;
7. che il provvedimento era irragionevole e lacunoso;
8. che non vi era indicazione dei fatti concreti e della loro incidenza;
9. che il contesto familiare rilevava solo se fondato sul rischio di un abuso delle armi, mentre era insufficiente il mero rapporto parentale.
Il ricorso proposto veniva accolto.
Il provvedimento della pubblica amministrazione risultava, in effetti, fondato sulla mera esistenza del rapporto di parentela con soggetti pericolosi o pregiudicati, senza allegazione e prova del rapporto e delle relazioni intercorrenti tra i parenti in oggetto e il ricorrente.
Il contesto familiare rilevava solo in quanto idoneo a determinare un fondato rischio di abuso delle armi.
Posto che l'oggetto del giudizio aveva sicuramente carattere discrezionale, rientrante nel merito dell'azione amministrativa e dunque sottratto, in linea di principio al sindacato del giudice della legittimità, salva l'ipotesi di manifesta illogicità o incongruenza delle determinazioni assunte (v. T.A.R. Emilia Romagna, I, 15 marzo 2010, n. 2224; C.S., V, 13 novembre 2009, n. 7107), ciò premesso la motivazione del provvedimento di diniego si fondava sostanzialmente sui rapporti parentali con soggetti pericolosi.
Tali circostanze e la possibilità di abuso non erano stati descritti e indicati da parte della pubblica amministrazione, la quale non aveva rappresentato quali potessero essere i rapporti tali tra le parti idonei a determinare una possibilità di abuso delle armi stesse; risultava al contrario svolgere un "giudizio prognostico" sull'abuso delle armi in oggetto ovvero, quantomeno, sulla possibilità di abuso delle stesse da parte del titolare o di terzi.
In definitiva: chi volesse contrastare il decreto di revoca confezionato sulla base degli elementi sopra esaminati, dovrà semplicemente rappresentare l'affidabilità nell'uso delle armi unita all'inesistenza di oggettivi vincoli parentali idonei a consentire un reale abuso dell'arma.
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