Avv. Francesco Pandolfi - cassazionista
Sentenza dirompente della Corte di Cassazione, che non transige in materia di omofobia in ambito militare: il risarcimento dei danni subiti dalla vittima deve essere realmente congruo.
Il diritto al proprio orientamento sessuale e' oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della Corte Europea dei diritti dell'uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno unito del 1981 e si cristallizza in tre componenti:
1. condotta,
2. inclinazione
3. comunicazione (c.d. coming out).
Tale diritto, così consacrato nelle più Alte Norme Comunitarie internazionali e interne, non può essere messo in discussione in alcun ambito socio lavorativo.
E' quanto scritto dalla Corte di Cassazione sezione 3 civile nell'importantissima sentenza n. 1126 del 22.01.2015: il risarcimento dei danni da violazione della privacy e dei danni morali deve essere assicurato in misura più che congrua.
Osserviamo da vicino la fattispecie.
Tizio convenne dinanzi al Tribunale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero della difesa, esponendo che nel corso della rituale visita di leva sostenuta presso l'ospedale militare aveva dichiarato di essere omosessuale; a seguito di siffatta dichiarazione era stato esonerato dal servizio.
Successivamente l'Ufficio della Motorizzazione Civile gli aveva notificato il provvedimento di revisione della patente di guida, e la predisposizione di un nuovo esame di idoneita' psico-fisica.
Tale provvedimento e la conseguente convocazione era stata disposta per effetto della comunicazione che l'ospedale militare aveva ritenuto di dover eseguire sulla base delle dichiarazioni di Tizio, evidenziando la mancanza dei requisiti psicofisici legalmente richiesti per la guida degli automezzi.
Tanto premesso, lamentando nel comportamento di entrambe le Amministrazioni statali una palese violazione della privacy ed un tipico contenuto di discriminazione sessuale, Tizio chiese la condanna degli enti convenuti al risarcimento del grave danno morale patito, quantificandolo nella misura di 500.000 euro.
Il giudice di primo grado accolse la domanda, condannando entrambi i Ministeri al pagamento della minor somma di 100.000 euro rispetto a quella richiesta.
La Corte di appello, pronunciando sull'impugnazione dei convenuti soccombenti, ne accolse in parte il gravame e ridusse l'entita' del risarcimento a 20 mila euro, ritenendo esorbitante la somma riconosciuta dal giudice di primo grado.
La sentenza del giudice territoriale e' stata impugnata da Tizio con ricorso per cassazione sorretto da un complesso motivo di censura, che viene ritenuto pienamente fondato.
Emerge dalla trama della sentenza che il comportamento delle due amministrazioni ha gravemente offeso e oltraggiato la personalita' di Tizio in uno dei suoi aspetti piu' sensibili e ha indotto nello stesso un grave sentimento di sfiducia nei confronti dello Stato, percepito come vessatorio, nell'esprimere e realizzare la sua personalita' nel mondo esterno.
Il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identita' sessuale è stato espressamente ascritto dalla Corte di legittimita' al novero dei diritti inviolabili della persona di cui all'articolo 2 Cost, quale essenziale forma di realizzazione della personalita' (Cass. 16417/2007).
Nella specie, nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravita' del fatto, riconducendola ad aspetti soltanto endo-amministrativi, non pare revocabile in dubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio comportamento di omofobia.
Si tratta, in buona sostanza, di gravissima offesa.
La Corte quindi, riuniti i ricorsi, accoglie quello principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello.
I principi posti in risalto dalla mirabile giurisprudenza della Suprema Corte, fungono da sicura guida per chi volesse reagire ad eventuali soprusi posti in essere dall'Amministrazione in spregio alle granitiche norme poste a presidio della personalità umana.
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