di Marina Crisafi - Mentre il legislatore è impegnato nella discussione sulla riforma della prescrizione, approvata nei giorni scorsi dalla Camera (leggi l'articolo "Via libera dalla Camera alla riforma della prescrizione penale"), la Corte Costituzionale entra a gamba tesa sulla questione, pronunciandosi su uno dei temi più caldi riguardante i c.d. "eterni giudicabili".
Con la sentenza n. 45, depositata ieri, la Consulta, infatti, ha bocciato il primo comma dell'art. 159 del codice penale, nella parte in cui "ove lo stato mentale dell'imputato sia tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e questo venga sospeso, non esclude la sospensione della prescrizione quando è accertato che tale stato è irreversibile".
Il quadro legislativo attuale delinea, infatti, una situazione che, secondo la Corte è diventata ormai intollerabile, poiché gli imputati, incapaci di stare in giudizio, per i quali il procedimento viene sospeso, subiscono anche la sospensione senza limiti di tempo, con la conseguenza che costoro sono condannati a restare per sempre nel "limbo" dei giudicabili, soggetti perennemente alla posizione di imputato e all'imprescrittibilità del reato.
La sospensione, invece, ha osservato il giudice delle leggi deve essere "assimilabile a una parentesi, che una volta aperta deve anche chiudersi, altrimenti si modifica la sua natura e si altera profondamente la fattispecie alla quale la sospensione si applica", perché una sospensione senza fine determina di fatto l'imprescrittibilità del reato e ciò non solo viola l'art. 3 della Costituzione, dando luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli imputati che si trovano in uno stato irreversibile di incapacità processuale, ma compromette oltre al diritto di difesa anche la funzione rieducativa della pena, a causa della sospensione sinedie del giudizio.
Così, intervenendo sulla questione di legittimità, sollevata dal tribunale di Milano in relazione ad un processo a carico di un uomo indagato per false fatturazioni, riconosciuto nel corso del giudizio, in condizioni irreversibili di infermità mentale, la Corte ha affermato la fondatezza della q.l.c., eliminando l'ostacolo al fluire della prescrizione e limitando così nel tempo anche la sospensione del processo destinato a chiudersi con una sentenza di improcedibilità per estinzione del reato.
Tuttavia, ha continuato la Consulta, il "rimedio può non apparire completamente appagante", nei casi in cui il tempo necessario alla prescrizione è ancora lungo e, ugualmente, lunga è la durata della sospensione del procedimento, comportando anche per i giudici gli oneri di inutili accertamenti peritali.
Così, il giudice delle leggi approfitta per "bacchettare" ancora l'inerzia del legislatore, sostenendo che una soluzione esiste ed è stata prospettata già nel 2013 dalla stessa Corte (sentenza n. 23/2013), e potrebbe ravvisarsi "nella definizione del procedimento con una sentenza di non doversi procedere per incapacità irreversibile dell'imputato". Una soluzione che è già prevista dall'art. 9 del disegno di legge n. 2798, presentato alla Camera il 23 dicembre scorso, che intende inserire nel codice di procedura penale un nuovo art. 72-bis e che "se sarà approvata" fornirà una disciplina specifica all'incapacità irreversibile dell'imputato.
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