EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE - PREZZO DI CESSIONE DEGLI IMMOBILI E PENALE PER VENDITA AD UN PREZZO SUPERIORE A QUELLO PREVISTO NELLA CONVENZIONE DI ASSEGNAZIONE- PENALI
Avv. Maria Teresa Antonucci
La Prima Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana , Firenze, con la sentenza n. 01959/2014 del 27/11/2014 ha confermato la legittimità della convenzione e delle penali applicate per la vendita ad un prezzo superiore a quello c.d. calmierato
La vicenda:
il Comune di Scandicci, nel 1993, approvava il piano attuativo del P.E.E.P. di Badia a Settimo San Colombano , disponendone il completamento mediante un programma integrato di intervento (P.I.I.) di cui all'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179.
Partecipava al procedimento un raggruppamento di operatori, che di seguito costituivano il "Consorzio Nuova Badia" ( tra i quali la società cooperativa Unica , alla quale venivano assegnati gli interventi di realizzazione privata) con il quale , nel marzo del 2006, l'Amministrazione comunale sottoscriveva la convenzione per la concessione della proprietà dei lotti che prevedeva la misura massima dei prezzi di cessione degli alloggi da realizzare , secondo il disposto dell'art. 35 della legge n. 865/1971, nonché una penalità , a carico del venditore ed in favore del Comune , calcolata da due a cinque volte la differenza fra il prezzo stabilito dal presente convenzione e quello effettivamente praticato, in caso di alienazione a prezzo superiore.
Terminata la costruzione degli alloggi nel 2009, poiché questi venivano ceduti in proprietà ai soci assegnatari a prezzi finali non conformi a quelli c.d. calmierati, nell'ottobre del 2011, veniva comunicato alla società Unica ed alle altre cooperative del Consorzio l'avvio dei procedimenti che si concludevano con l'adozione di ordinanze, a firma del Dirigente del Settore Edilizia ed Urbanistica, con cui il Comune di Scandicci ingiungeva il pagamento delle penali commisurate al doppio della differenza tra il prezzo massimo di cessione stabilito dalla convenzione e quello effettivamente praticato.
La società Unica, con distinti ricorsi, impugnava dinanzi al Tar Toscana, Firenze, dette ordinanze, chiedendone l'annullamento e l' accertamento della non debenza degli importi pretesi dall'amministrazione.
L'istanza cautelare veniva respinta " per difetto del periculum in mora nell'assenza di connotazione provvedimentale degli atti impugnati " e dopo la riunione dei procedimenti veniva disposta una verificazione e, di seguito, una CTU allo scopo di accertare:"- se e quale fosse stato l'incremento percentuale dei costi di costruzione, avuto riguardo alle sue diverse componenti, nei periodi compresi fra il gennaio del 2000 ed il marzo del 2006, e fra il marzo del 2006 e il completamento degli alloggi per cui è causa;
- se il prezzo di cessione degli alloggi per cui è causa coincidesse con il valore di mercato degli stessi al momento della cessione medesima, e, in caso negativo, a quanto ammontasse la differenza;
- quale fosse, rispetto al valore di mercato all'epoca della cessione in proprietà, l'utile presumibilmente ritraibile - secondo un criterio di normalità - dalla vendita di alloggi della medesima tipologia e caratteristiche di quelli per cui è causa, e quale fosse stato l'utile presumibilmente ricavato dalla cooperativa ricorrente per la vendita degli alloggi oggetto del contenzioso;
- se e quali dei seguenti elementi avessero inciso, e ciascuno in quale misura, sul complessivo costo di realizzazione e, conseguentemente, sul prezzo di vendita dei singoli alloggi " (che ,come vedremo di seguito, secondo la difesa della ricorrente, consistevano nelle varianti progettuali e costruttive successive alla assegnazione dei lotti , negli oneri di preammortamento , nei maggiori oneri espropriativi e nelle migliorie chieste dai singoli soci assegnatari ) ;
"- quale fosse il prezzo di cessione degli alloggi per cui è causa calcolato a termini della Convenzione e prendendo a riferimento la superficie degli alloggi medesimi determinata in applicazione dell'art. 6 del D.M. 5 agosto 1994 ("Determinazione dei limiti massimi di costo per gli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata e di edilizia residenziale agevolata)".
Depositata la relazione tecnica d'ufficio , all'udienza del 27 giugno 2014, " le cause riunite sono state discusse e trattenute in decisione. Quest'ultima, inizialmente riservata dal collegio, è stata infine deliberata nella camera di consiglio del 24 settembre 2014" .
I ricorsi sono stati decisi con sentenza n. 01959/2014 del 27/11/2014, con la quale la Prima Sezione del TAR adìto , in parziale accoglimento , ha confermato la legittimità della convenzione che aveva previsto la penale per la vendita ad un prezzo superiore a quello c.d. calmierato -
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La sentenza in commento è stata molto attesa dagli operatori del diritto per l'importanza ed attualità della questione dibattuta in una materia , quella dell'edilizia convenzionata, quanto mai intricata e resa attuale dagli importanti interventi legislativi (decreto sviluppo 2011) che ne hanno comportato la necessità di un "nuovo" ed approfondito esame.
La Prima Sezione dell'Ill.mo TAR adìto, nelle persone degli esìmi componenti, , il Presidente, dr Paolo Buonvino, il Consigliere estensore , dr Pierpaolo Grauso e il Consigliere dr Bernardo Massari, pur se in riferimento ad una questione specifica , riguardante il contenuto e le conseguenze di un accordo intervenuto tra l'amministrazione comunale e le cooperative concessionarie, ha effettuato un importante excursus , nella corposa ed articolata parte motiva , che prende le mosse dalla esplicitazione delle finalità della edilizia convenzionata "… considerata come una sorta di "terza via" tra edilizia pubblica e privata... praticata al fine di garantire uno sviluppo ordinato dell'assetto del territorio e, nello stesso tempo, rispondere alle esigenze abitative popolari mediante il calmieramento del mercato, senza impegnare risorse pubbliche, ma coinvolgendo l'imprenditoria privata in un'operazione di pubblico interesse" .
…"la pubblica amministrazione non assume in proprio la costruzione di lotti edilizi, ma ne affida la realizzazione a imprese private , che beneficiano della riduzione di quote degli oneri che dovrebbero versare all'amministrazione concedente, sulle quali esercita un condizionamento attraverso forme di controllo sulle localizzazioni e le tipologie degli edifici costruendi, sulla loro destinazione d'uso ed anche sui prezzi di vendita e locazione degli alloggi realizzati. "
La regolamentazione degli obblighi reciproci delle parti è effettuata attraverso una convenzione di lottizzazione , inquadrabile negli accordi sostitutivi di provvedimento di cui all'art. 11 della legge 241/90 , stipulata ai sensi della legge 865/71 , che è " uno strumento con cui il Comune ha effettuato un'operazione di sviluppo del territorio…dettando in via negoziale le regole per il suo sviluppo ed assumendo, correlativamente, determinati obblighi a suo carico nei confronti degli assegnatari".
Ciò premesso, il Collegio , per valutare le censure mosse dalla società ricorrente, secondo la quale il Comune avrebbe esercitato illegittimamente il potere sanzionatorio, ne ha esaminato la natura , trattandosi di ipotesi in cui l'amministrazione si avvale " …di strumenti alternativi all'attività di carattere provvedimentale …".
Nel caso in esame, " il Comune di Scandicci aveva fatto uso di un potere fondato e disciplinato unicamente dall'art. 9 della convenzione, nel quale non si ravvisa alcuna caratterizzazione pubblicistica, che quindi trae fonte esclusivamente dall'accordo delle parti e non risulta disciplinato in modo particolare rispetto alla penale di cui all'art. 1382 del codice civile.
Nell'irrogare la penalità, quindi, "l'amministrazione ha esercitato un potere privatistico, pur se finalizzato a realizzare obiettivi di pubblico interesse…"
Fatta tale fondamentale premessa, il Collegio è passato ad esaminare i motivi del ricorso , relativi alla asserita illegittimità delle sanzioni irrogate , valutabili alla luce ed in relazione alla condotta tenuta dalla ricorrente. Condotta che, secondo l'istante, sarebbe esente da colpa per il fatto che il superamento dei prezzi massimi di cessione sarebbe stato " il frutto di fattori indipendenti dalla sua volontà" quali il "lunghissimo intervallo di tempo intercorso fra la determinazione del meccanismo di individuazione del corrispettivo, risalente al bando del 1999, e la stipula della convenzione", l'insorta necessità di una variante per l'adeguamento del P.E.E.P. a normative sopravvenute , il tempo occorso per le espropriazioni dei suoli, l'aumento dei costi di costruzione, le modifiche progettuali ed esecutive legate dall'evoluzione normative, i maggiori oneri finanziari e le migliorie richieste dai soci assegnatari. Tutti fattori che avrebbero determinato un aumento dei costi del 58% e che, quindi, avrebbe costretto la cooperativa ad aumentare il prezzo di cessione, rispetto a quanto convenzionalmente prestabilito.
Tali circostanze, inoltre, avrebbero configurato un' ipotesi di forza maggiore ed eccessiva onerosità sopravvenuta che escluderebbe l'inadempimento della cooperativa venditrice e, quindi, la legittimità delle sanzioni applicate dal Comune.
Detta impostazione, però, è stata disattesa dal TAR adìto che , preliminarmente, ha valutato "la condotta tenuta dalla cooperativa (proprio in relazione a fattori straordinari, imprevedibili e inevitabili secondo l'ordinaria diligenza, alla stregua dei principi sanciti dagli artt. 1218 e 1467 c.c.) " tenendo conto delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio dalle quali ha ritenuto essere emerso " … che, al momento della sottoscrizione della convenzione, i fattori cui la ricorrente ascrive l'aumento dei costi di realizzazione dell'intervento avevano oramai dispiegato i propri effetti" e quindi a quei fattori non può essere riconosciuto il ruolo di sopravvenienze imprevedibili e giustificative dell'inadempimento all'obbligo di rispettare i prezzi massimi di cessione stabiliti dall'art. 9"; né la cooperativa ricorrente , nel corso dei giudizi, aveva "fornito - ai sensi del combinato disposto degli artt. 1218 e 1176 c.c., che certamente si attagliano alle obbligazioni assunte dalle parti private degli accordi amministrativi - alcuna prova circa l'esistenza di circostanze sopravvenute ed essa estranee ed alle quali sia causalmente e soggettivamente ascrivibile l'inosservanza dell'art. 9 della convenzione, ovvero che ne abbiano reso l'adempimento eccessivamente gravoso e, perciò, inesigibile".
Dunque , a parere del Collegio, la pattuizione di un prezzo massimo insufficiente a coprire i costi dell'intervento avrebbe potuto " eventualmente dare luogo a un vizio genetico, ma non funzionale, dell'accordo. In mancanza, quella pattuizione non può che ritenersi cogente e il relativo inadempimento imputabile, avuto riguardo alla diligenza esigibile dalle parti fin dal momento dell'assunzione del vincolo contrattuale. La cooperativa ricorrente, in quanto operatore professionale del settore edilizio, non può in definitiva invocare quale esimente dalla responsabilità per il proprio inadempimento l'inadeguatezza del prezzo massimo da essa liberamente pattuito, essendo in possesso di tutti gli strumenti necessari per avvedersi ab origine dell'impossibilità di contenere i prezzi di cessione nei limiti a suo tempo stabiliti dal bando del 1999 e per non addossarsi, di conseguenza, il corrispondente obbligo ; ...la cooperativa avrebbe potuto rifiutare il proprio consenso onde evitare di accollarsi un'obbligazione destinata a non poter essere adempiuta".
Escluso che l'applicazione di prezzi di cessione eccedenti il limite convenzionalmente stabilito fra le parti , fosse giustificata " sul piano della non imputabilità dell'inadempimento contestato dal Comune", da ciò discende la legittimità dell'applicazione delle penali stabilite per accordo delle parti che, ai sensi dell'art. 1382 c.c. "… ha l'effetto di determinare anticipatamente e in misura forfettaria il risarcimento del danno da ritardo o da inadempimento…indipendentemente dalla prova del danno".
Anche la tesi di un'interpretazione adeguatrice e di buona fede della convenzione non è stata condivisa dal Collegio in quanto l'art. 1374 c.c. consentirebbe l'integrazione del contratto solo laddove la volontà espressa fosse "incompleta o ambigua" " (per tutte, cfr. Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2014, n 6747), così come l'utilizzo delle regole sull'interpretazione oggettiva dei contratti, ivi compreso l'art. 1366 c.c. sull'interpretazione di buona fede, implica la difficoltà di chiarire quale sia stata la comune intenzione delle parti alla stregua dei c.d. criteri di interpretazione soggettiva dettati dagli artt. 1362 - 1365 c.c.. ".
La convenzione di specie, invece , non ha lacune contenutistiche od oscurità interpretative , e " la previsione convenzionale di un meccanismo di aggiornamento dei prezzi di cui al bando" dimostra che " le parti, nel sottoscrivere la convenzione, abbiano colto l'esigenza di adeguare il prezzo di cessione agli aumenti dei costi intervenuti nel periodo 1999 - 2006".
Così la previsione contenuta nell'art. 4, alla lettera d), della " la necessità di una modifica e/o integrazione della convenzione in presenza di varianti in corso d'opera comportanti consistenti variazioni della natura e/o qualità delle opere" , esclusa però "a fronte di varianti non comportanti "sostanziali rettifiche al quadro economico"; tali espressioni, infatti, sarebbero indice inequivocabile della consapevolezza delle parti delle potenziali ricadute delle varianti sull'equilibrio sinallagmatico dell'accordo , da regolare attraverso "un'apposita manifestazione di volontà negoziale".
Infondata è altresì la tesi della illegittimità e/o nullità del prezzo ( che, calcolato in conformità all'art. 9 della convenzione, non è remunerativo ) , per violazione di norme imperative e per mancanza o illiceità di causa, ai sensi degli artt. 1418 e 1325 c.c., con automatica sostituzione della clausola nulla con quella derivante dai principi posti dalla normativa sull'edilizia convenzionata.
Il rigetto del motivo deriva dal riconoscimento univoco, in dottrina civilistica e giurisprudenza , della incidenza "dello squilibrio fra le prestazioni sulla causa del contratto nella sola ipotesi in cui manchi del tutto la possibilità di riconoscere una equivalenza almeno tendenziale delle prestazioni, ovvero a fronte della prestazione di una parte non sia previsto corrispettivo a carico dell'altra, mentre la pattuizione di un corrispettivo anche notevolmente inferiore al valore di mercato della prestazione altrui, ma non del tutto privo di valore, pone un problema concernente l'adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisce al più alle eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto, ma non all'assenza della causa (per tutte, cfr. Cass. civ., sez. II, 19 aprile 2013, n. 9640)" .
Nel caso all'esame , invece, alla luce di quanto emerso dalla CTU, fra i costi sostenuti dalla cooperativa e i prezzi massimi di cessione stabiliti dall'art. 9 della convenzione , non sussisterebbe uno squilibrio tale da evidenziare l'assenza di corrispettività fra le prestazioni. Al contrario , i prezzi determinati in ossequio alla convenzione avrebbero garantito un sia pur modesto guadagno , variabile fra lo 0,8 e il 2,5% circa, conforme al dettato normativo , in tema di edilizia convenzionata ed agevolata , nel quale la causa dell'accordo non è la " remuneratività del risultato economico dell'affare per la parte privata, essendo, anzi, estraneo al negozio di cui trattasi ogni finalità lucrativa".
La finalità , infatti, "è la facilitazione dell'acquisto della casa alle categorie più disagiate di cittadini e ciò, se giustifica il divieto di stabilire prezzi di cessione superiori al limite massimo determinabile in base ai criteri legali, non implica il divieto per le parti di stabilire, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, prezzi inferiori a quelli massimi consentiti (così, Cass. civ., sez. II, 9 maggio 2013 n. 10987; id., 28 aprile 2004, n. 8138).
Non deve essere dimenticato che , pur attribuendo all'accordo intercorso con la ricorrente natura privatistica, nei limiti già evidenziati, la realizzazione dell'interesse pubblico sopra individuati ne rappresenta la cornice entro la quale deve essere condotta l'interpretazione.
Passando al vaglio la ipotesi di nullità dell'art. 9 della convenzione per contrarietà a norme imperative, oltre che per illiceità della causa in relazione alla penale comminata , il Collegio l'ha ritenuta infondata in quanto è proprio l'art. 35 co. 8 della legge n. 865/1971 , norma imperativa , a stabilire che la convenzione che concedente e concessionario devono stipulare deve prevedere: "le sanzioni a carico del concessionario per l'inosservanza degli obblighi stabiliti nella convenzione ed i casi di maggior gravità in cui tale inosservanza comporti la decadenza dalla concessione e la conseguente estinzione del diritto di superficie".
Così la censura relativa alla stima economica delle migliorie ammesse dall'art. 6, lett. F (gli impianti, il risparmio energetico e le qualità prestazionali degli edifici) , che avrebbe dovuto essere escluse nel determinare l'ammontare del prezzo massimo , è stata ritenuta infondata in quanto il combinato disposto degli artt. 6 e 9 , pur ammettendo siffatte migliorie, lascia ferma la soglia di prezzo massimo.
La ratio di tale impostazione è quella di evitare che i miglioramenti qualitativi possano fare lievitare i prezzi al punto da estromettere dalla partecipazione all'acquisto quei soggetti economicamente svantaggiati che non sarebbero in grado di far fronte al pagamento del maggior corrispettivo economico, frustrando così la finalità dell'istituto dell'edilizia economica e popolare.
Soltanto tre motivi sono stati accolti dal TAR: il primo relativo al criterio di calcolo da utilizzare per determinare il prezzo massimo di cessione degli alloggi e , conseguentemente, l'ammontare della penale, che è quello "derivante dall'applicazione del prezzo unitario massimo prestabilito per mq di Superficie Complessiva (D.M. 5.8.1994, art. 6)". Infatti, pur se "non è chiaramente espressa la volontà delle parti in proposito,…il riferimento a tale decreto ministeriale vale ad evidenziare che loro comune intenzione (art. 1362, comma primo, c.c.) fosse quella di riferirsi ai criteri stabiliti all'art. 6 del medesimo, in base al quale "la superficie complessiva (Sc) è costituita dalla superficie utile abitabile aumentata del 60% della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi: Sc = Su + 60% (Snr + Sp)… La superficie deve quindi essere calcolata secondo le risultanze di cui alla tabella 5 della relazione peritale "calcolo delle superficie complessiva Sc*".
Inoltre dal prezzo massimo di alienazione previsto dall'art. 9 della convenzione , devono escludersi le migliorie richieste da ciascun socio che sono " riconducibili al rapporto diretto tra Cooperativa e cessionario del singolo alloggio" ed estranee al rapporto pubblicistico tra Comune e Cooperativa affidataria dei lavori, nonché ultimo gli oneri di preammortamento e di interesse del mutuo assunto, " trattandosi di costi relativi a pagamenti anticipati alla banca dalla Cooperativa ricorrente, e che vengono rimborsati a quest'ultima dal privato assegnatario, a lavori ultimati…Diversamente opinando si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, a seconda della scelta di finanziamento espressa dal compratore…"-
Come si evince da quanto sopra riportato, il TAR adìto ha dichiarato la legittimità della previsione contrattuale, in relazione alla misura del prezzo massimo di cessione, l'imputabilità dell'inadempimento da parte della ricorrente e la legittimità delle penali irrogate, censurando esclusivamente alcuni criteri adottati dal Comune di Scandicci per valutare la misura della penale che, pertanto , dovrà essere rideterminata , in ottemperanza alla sentenza.
I soci assegnatari, da questa sentenza, vedono dichiarata la illegittimità del prezzo pagato per l'acquisto degli alloggi , perché superiore a quello dovuto in virtù della norma imperativa ( art. 35 l. 865/71) ; illegittimità che non era stata riconosciuta nel lodo arbitrale adottato dalla Camera di Commercio di Firenze che , quindi, sarà oggetto di impugnazione. L'esito favorevole , comporterebbe la riduzione di tutti i prezzi e la restituzione delle somme versate in più , con notevoli conseguenze economiche dannose per le imprese che hanno realizzato e venduto gli edifici .
Per completare l'analisi, restiamo in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che lo scorso mese di luglio è stata investita della questione della applicabilità del vincolo del prezzo calmierato anche alle vendite successive alla prima.
Avv. Maria Teresa Antonucci
Tel 0881/688076 - 338/4314645
Val al testo della sentenza del TAR 01959/2014